4 NOVEMBRE 1918 – 4 NOVEMBRE 2018

Esattamente cento anni fa, 4 Novembre del 1918 , “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.”
Si chiude così l’immane tragedia ( quella che Benedetto xv defini’ “l’inutile strage” – un massacro durato TRE ANNI E MEZZO ) della prima guerra mondiale,la quarta guerra d’indipendenza, iniziata per l’Italia il 24 maggio del 1915.


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SOPRA LE NUVOLE C’È SEMPRE IL SOLE, ANCHE SE SOTTO NEVICA…” (IL DIN DIN E LA MARIA)

 

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Era una di quelle giornate che solo a pensare di dover far qualcosa, cominci a sudare e avere male alle gambe.
Il sole feroce e le cicale cantavano il loro eterno inno alla vita. Un inno assordante ed apparentemente gioioso ma nel quale c’è già la disperata premonizione della fine..
Il Po scorreva lento, quasi in secca e le colline sulle sfondo, erano slavate, senza colore.
Il Pinot, disteso all’ombra di un pioppo con la schiena appoggiata contro il tronco ed il cappello abbassato sul naso per proteggere gli occhi dalla luce, seguiva il percorso di una formica che gli risaliva il braccio.
“ Quanta fatica -pensava- e, appena credi di aver finito e poterti riposare perché sei giunta, ecco che io, sgnac !, ti schiaccio con una bella manata…e ciarea musù Andrea, chi si è visto si è visto…
Il Pinot pensò anche che, in fondo, la vicenda della formica è come quella degli uomini.
“ Non c’è nessuna differenza fra gli uomini e le formiche -mormorò fra sé e sé- nessuna…” e alzò la mano per colpire, ma ci ripensò; la abbassò lentamente, la strinse e con il dito medio, che aveva preso slancio appoggiandosi al pollice, fece schizzare la formica lontano .
“Ti è andata bene – mormorò- se ti è andata bene!.. ; del resto il mondo è grande e c’è posto per tutti…”.


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“Pinot!…Pinot!…”
L’urlo lo fece trasalire; balzò in piedi, si girò a trecentosessanta gradi per controllare , e vide in mezzo al Po, su un barcone che si avvicinava, un uomo che sventolava un foglio di carta.
“E’ il Din Din…-pensò il Pinot- gatta ci cova se si ferma con il barcone carico…”.
Il Din Din ( il suo nome era Corrado e il cognome Beltrame, ma si portava dietro lo stradinome del nonno, pescatore il quale, prima di consegnare il pesce, allungava la mano ed esclamava, scimmiottando il tintinnio delle monete, “din-din” nel senso che “prima i quattrini…, e poi la merce…) era un giovane con le braccia che sembravano tronchi d’albero e due mani che, in caso di necessità, poteva usarle come pale; se con quelle mani ti dava una sberla dovevi sostituire la foto sui documenti. Con il barcone pieno di ghiaia risaliva il Po dalla draga del Ronzone fino a Morano dove avevano impiantato una fornace di cemento; per avere idea del lavoro del Din-Din, sarebbe sufficiente cercare di risalire il Po con un barcone, anche se vuoto.
“Il Famiola, che è in Francia per la mietitura, ha mandato al Betulin una lettera in cui dice “Vardate bene questo foglio di giornale, ve lo spedisco perché lì non catate mai giornali…siamo di nuovo nella merda…”.
“Nella merda?…”
“Nella merda!…fino al collo; almeno così scrive il Famiola e deve essere davvero una questione importante perché se ha speso i baiocchi per comprarle il giornale e per il francobollo!… ma nessuno ci capisce niente, a parte che questa della foto è un gran bel pezzo…”.
“E’ davvero una gran bella donna…-pensò il Pinot spiegando il foglio che il Din Din gli aveva porto – fanno presto adesso, con queste accidenti di foto, a fare il giornale…Ti schiaffano tre foto e una pagina è fatta…”.
“Nessuno ci capisce niente -proseguì il Din Din- e allora io ho pensato a te che sei stato tanti anni in Francia e il francese lo parli…”.
Il Pinot era stato dieci anni in Francia lavorando ai macelli generali a Parigi , ma un conto era capirlo e parlarlo il francese, un conto era leggerlo… ed il Pinot aveva solo fatto seconda elementare e per giunta andando a scuola unicamente quando pioveva…
“Lega la barca e vieni con me –disse il Pinot- ce lo legge il Mannaggia”.


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Il Mannaggia era un giovane “del tacco” che aveva insegnato francese all’avviamento e che, per una questione di corna, aveva abbandonato tutto e viveva ora da misantropo in una baracca dietro all’argine del Po nel bosco di Cavalli, coltivando l’orto ed allevando polli e galline.
“Mannaggia -esclamò il Mannaggia non appena ebbe messo gli occhi sulla pagina del giornale- mannaggia.!..”
E ai due che lo seguivano con gli occhi sbarrati lesse: “ FRANCOIS-FERDINAND, ARCHIDUC HERITIER, ET SA FEMME ASSASSINES HIER A SARAJEVO. Vedete questo è l’Excelsior di lunedì 29 giugno 1914, l’uomo con i baffi è l’arciduca austriaco erede al trono e questa bella donna è la moglie , la duchessa di Hohenberg …la foto deve essere di qualche anno fa perché ora la duchessa ha 47 anni e qui è fresca come una rosa…”
“…Per quello che fanno…” commentò il Corrado.
“Nella foto sotto sono con i leurs trois enfants dans l’intimitè – continuò il Mannaggia- i loro tre figli nell’intimità…”
“Non allungare le corna alla lumaca…-sbottò il Pinot- cosa significano quelle parole grosse che hai letto.?…”
“Significa che hanno ammazzato , con due revolverate, gli eredi al trono d’Austria…”.
“…Meglio loro che noi…”
“Si, ma mi sa che costerà cara anche a noi perché…perché il giornale , interessante questo giornale , mannaggia, … ha come motto una frase di Napoleone : le plus court croquis m’en dit plus long qu’un long rapport…”
“Mannaggia, lascia perdere Napoleone… perché costerà cara pure a noi…?”
“…Perché il giornale scrive che questo è il classico casus belli…”
“…Belli?!?…chi, belli…?!?…”.
“ Non ci sono né belli né brutti…è una frase in latino…”
“ Mannag!…-esclamò il Pinot mordendosi il bordo della mano- lascia perdere anche il latino e parla come ti ha insegnato tua mamma…”
“Se parlassi come mi ha insegnato, a Capua, mia mamma, non capiresti nulla……Dicevo :è una frase in latino che sta a significare: è una scusa, una sporca scusa, per far scoppiare la guerra…; una guerra coinvolgerà, dice il giornale, novantanove su cento, tutta l’Europa; …se scoppia…, sarà un macello…, c’è poco da stare tranquilli…; pure per noi noi…,e questo il Famiola lo deve aver capito se no non ci mandava il giornale…Altroché Famiola.., mannaggia!…


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Infatti la guerra scoppiò e da quel che si sentiva era un vero massacro; ma l’Italia ne era fuori “…anche perchè- spiegava il Mannaggia che intanto aveva preso a frequentare il Betulin dove le sue parole, quando si trattava di cose importanti, erano vangelo – con i patti che ci sono dovremmo combattere insieme agli austriaci…”.
Poco meno di un anno dopo, arrivarono le cartoline; l’Italia aveva cambiato alleanze e scendeva in guerra a fianco delle nazioni nemiche dell’Austria…
…E fu una carneficina anche per noi…
Partì il Pinot, partì il Mannaggia (quando durante una licenza entrò al Betulin vestito da ufficiale, a momenti manda di traverso il vino a tutti… e tutti esclamavano, con gioia, cuntac, cuntac,…ma guarda il Mannaggia!…), partì il Din Din; partirono in tanti…e pochi tornarono. 


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La città e la campagna si spopolarono.
Quanti giovani del “casalasco” che una mattina “all’apparir del sole” diedero un bacio alla loro donna e quello fu, per lui , il ricordo di un amore intenso breve come un sospiro e , per lei, la nostalgia disperata di tutta la vita…
E’ vero, quel richiamo , spesso, lo subivano; avrebbero voluto rimanersene sui loro campi, togliersi il cappello all’Angelus, sentire i rintocchi del campanile che dai “bot”, nel tepore del letto, passava alle ore ormai immerse nel lavoro delle stalle, veder scendere la neve sui campi che quasi appiattiva le asperità delle colline, guardare la moglie accanto al fuoco che, con i ferri della maglia sul grembo, sgnoccava ed il suo viso era reso ancora più bello da quella ruga che allora non c’era ma che poco per poco si era scavata con la vita. E quei batuffoli arruffati che erano i figli diventati in un amen grandi e grossi come querce…


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“Non è fraterna guerra/ la guerra che io farò/ ma dall’italiana terra/ l’estraneo caccerò…”, li facevano cantare, ma chi era l’estraneo e cos’era l’italiana terra?…
“Il sacco è preparato e sull’omero mi sta…” li facevano ancora cantare . Ma loro non sapevano nemmeno cosa fosse l’omero, sapevano solo che quello zaino maledetto pesava l’iradiddio e che ancora di più pesavano i ricordi e la nostalgia.
“…Sono uomo e son soldato/ viva la libertà…”, ma che libertà era quella che gli imponeva di lasciare il loro mondo…; ma la libertà non era quella di fare quello che avevano sempre fatto, inventarsi la loro vita tutti i giorni?…
Però erano andati.
Il Cappellano medaglia d’oro al valor militare don Brevi, raccontava di un colloquio con un giovane soldato prima della battaglia.
“Padre…padre…ho paura…ho paura di morire…paura di tutto…e poi, chi si ricorderà di me?!?…”
Avevano paura di morire …e sono morti…a volte senza comprendere – e, non di rado, senza condividere- il perché del loro sacrificio.
Eppure noi, tutti noi, dobbiamo a loro , ai loro sogni stroncati , se certe parole non sono più vuota retorica di qualche canto, ma riferimenti ideali.
Osservava Orazio che “…Singula de nobis anni praedantur euntes…”.
Ma se è vero che gli anni che fuggono ci portano via una cosa dopo l’altra, è pur vero che ci restano le cose più importanti: i ricordi…e nessuno ce li può togliere perché lì, ben radicato nel cuore, c’è il nostro passato ed il nostro avvenire, le nostre speranze ed i nostri sogni, i nostri padri ed i nostri figli…


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Nevicava – quel San Giuseppe ancora lacerato dalle ferite della seconda guerra mondiale ma nello stesso tempo vivido di fervore e speranza- che sembrava la notte di Natale sulle cartoline con il presepe; ed invece mancava nulla alla primavera. I mandorli erano già fioriti e da piazza Castello veniva il profumo rancido degli autoscontri e dei banchetti di cannoli e palle dolci.
Le lose dello stradone erano coperte dal manto bianco ed anche il Po sullo sfondo pareva pitturato con la biacca. Correva leggero il cammion elettrico dell’Eternit che faceva la spola giorno e notte, a sette all’ora, fra Piazza d’Armi e lo stabilimento del Ronzone; in giro non si vedeva un’anima ed anche i rarissimi che sfidavano la neve, sgusciavano veloci come fantasmi.
“Nevica a San Giuseppe…roba dell’altro mondo- esclamo il Cicot appiccicando il naso al vetro della porta- ne saranno venuti giù dieci centimetri!…”
“Cosa da far ridere i polli…-ribattè il Caldu- ai miei tempi ricordo un San Giuseppe con tanta di quella neve che la gente, per uscire di casa, doveva passare dalla finestra del primo piano…”.

 

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Al Betulin quel pomeriggio non giocavano a carte, ma erano raccolti attorno alla radio per sentire il gran duello fra Bartali e Coppi nella Milano – San Remo.
Anche la Riviera era flagellata dalla neve.
“Nella bufera le aquile volano…per cercare il sole” diceva Mario Ferretti alla radio alludendo a Coppi.
“Ha detto una lucada -urlò il Bertu Cena, bartaliano- come fa ad esserci il sole se nevica…!”.
Ma la Maria, che con i suoi occhi dolci ed azzurri sembrava sempre sopra le nuvole, sorrideva tranquilla annuendo con il capo. Erano passati tanti anni ma pensava sempre al suo Corrado, “ il mioDin Din”, che era stato alpino sul Carso (e lì era rimasto) ; nella sua ultima licenza aveva raccontato cose straordinarie. “ Pensa , lassù sul Carso, ti arrampichi sulle rocce e nevica che Dio la manda, poi sali , passi le nuvole e c’è il sole…sotto nevica e lì c’è il sole…”.
“L’uomo- disse la Maria- cerca sempre il sole..anche se piove o nevica….” e tutti la guardavano senza dir nulla perché conoscevano il suo tormento ed anche perché avvertivano che in quella frase, apparentemente strampalata, c’era un fondo di angosciosa verità.


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Fuori continuava a nevicare ; tutto era uniforme e la strada pareva confondersi in lontananza con i tetti; solo sul marciapiede sotto ai cornicioni delle case c’era qualche lieve traccia di passi. Il piccolo Giuanin, un orecchio teso alla radio che stava per riprendere i collegamenti (sperava sempre, nel cuore , che Ferretti urlasse: Bartali solo in testa alla corsa…) , appoggiava naso e mento contro il vetro della porta e guardava nel vuoto.
Pensava a San Remo dove era stato in colonia e non riusciva ad immaginarla sotto la neve; pensava anche preoccupato che domani il Maestro avrebbe sicuramente dettato il tema , da eseguire in classe: “Neve marzolina, dura dalla sera alla mattina…”, lo dava sempre tutti gli anni, non appena a marzo cadeva un filo di neve; in alternativa, se il tempo era sereno “San Benedetto la rondine sotto il tetto…”. Ogni tanto qualcuno, proveniente da piazza Castello, entrava al Betulin:, batteva prima le scarpe contro il gradino; poi si scrollava il mantello ed il berretto; quindi, schiusa appena la porta per non far entrare freddo, si infilava rapidamente dentro e, fregandosi le mani esclamava “che bel calorino, sembra di rivivere…”.


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A San Remo trionfò Coppi ; subito dopo la radio- mise in onda un programma dell’orchestra Angelini maestro Cinico con Achille Togliani che cantava “La signora di trent’anni fa…”.
“Trent’anni fa –sussurrò la Maria- aspettavo ancora il mio Corrado; si pensava fosse prigioniero, non sapevo che era rimasto lassù, sul Carso…Ed io aspettavo, tutti i giorni, la lettera che me ne preannunciasse il ritorno…”.
Arrivò la lettera, alla Maria; ma c’era scritto altro.
Nonostante questo , la Maria continuava ad aspettare ed un giorno o l’altro, “basta aver pazienza”, si sarebbero ritrovati…

“.. .Sopra le nuvole, dove c’è sempre il sole, anche se sotto nevica.”

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