Referendum: propaganda a favore dell’astensionismo

Quando i nostri padri e madri costituenti elaborarono la Costituzione, con l’articolo 75 stabilirono che, per rendere validi i referendum abrogativi, fosse necessario che vi partecipasse la metà più uno degli aventi diritto. Il quorum doveva evitare che una minoranza potesse abrogare una legge approvata in Parlamento, emanazione della volontà dei cittadini. Il referendum è, in fondo, l’unica esperienza di democrazia diretta all’interno di un sistema rappresentativo e, avendo questo strumento un potere così incisivo, bisognava assicurarsi che anch’esso desse voce alla maggioranza degli Italiani.

Certo, l’alba della nostra Repubblica ha visto percentuali di affluenza alle urne imparagonabili a quelle attuali: dal 1948 la percentuale degli astenuti non superò il 10% fino al 1979 e solo dal 2008 le elezioni politiche – quelle che dovrebbero richiamare più votanti – hanno registrato un’affluenza pari o inferiore all’80%; da lì la discesa è stata inarrestabile fino al tragico 62% del 2022. Non c’è da stupirsi, allora, che i risultati dei referendum degli ultimi anni siano stati assolutamente fallimentari, con l’unica eccezione del 2011, in cui si riuscì ad arrivare al quorum toccando temi come acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento.

Accertato il dramma dell’astensionismo, come si colloca il tema del quorum nel dibattito sul referendum dell’8-9 giugno? È chiaro che in simili condizioni chi propendesse per il no potrebbe fare una facile campagna per l’astensione dal voto, assicurandosi così una facile vittoria, ma è indubbio che questo minerebbe allo spirito di una democrazia conquistata a fatica e, nel nostro Paese, non senza morti e feriti. Ancora più sconcertante è il fatto che la propaganda a favore dell’astensionismo – che in questo caso specifico arriva dai partiti di maggioranza, i cui esponenti occupano ruoli istituzionali chiave proprio in quel sistema democratico di cui il referendum è mezzo di espressione – si rivolga anche a un elettorato giovane già distante e diffidente nei confronti della politica, sfiduciato rispetto al valore del proprio voto e per di più non sensibilizzato sull’importanza di informarsi sui temi al centro del dibattito politico. Se è vero, come diceva Alexis de Tocqueville, che «La democrazia è il potere di un popolo informato», infatti, ciò che appare forse ancora più grave della propaganda per l’astensionismo è la consapevole e strumentale mancanza di informazione sulle tematiche al centro delle consultazioni di giugno.

Non ci stupisce allora che il calendario ci regali una coincidenza amara: a una settimana dalla Festa della Repubblica, rischiamo di assistere all’ennesima sconfitta di quegli strumenti democratici che proprio quella Repubblica ci ha consegnato. Vale la pena rifletterci: tra il 2 giugno e l’8-9 giugno intercorrono solo sei giorni: il tempo che separa la retorica sulla democrazia dalla sua pratica quotidiana. Quello che accadrà alle urne ci dirà quale delle due prendiamo più sul serio.

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