A proposito della leggenda di Aleramo

A proposito della leggenda di Aleramo di cui si accenna nell’articolo sopra linkato

http://www.casalenews.it/attualita/la-primaria-di-santa-maria-del-tempio-in-visita-dal-sindaco-titti-palazzetti-35839.html

Personalmente non sono contrario alle leggende, ci mancherebbe, anzi hanno il loro fascino e svolgono un’importante azione propedeutica e pedagogica, ma non sono altrettanto utili per la ricerca storica delle fiabe e dei miti, questi ultimi hanno spesso radici e tracce mnestiche realistiche e storiografiche degne di studio, le leggende molto meno.

Non posso fare a meno di rilevare che, se ci limita a raccontare solo le leggende locali ai bambini, senza prima aver esposto loro, anche sinteticamente e semplificando al massimo ma CORRETTAMENTE i presupposti e le premesse storiche, rimarrà loro solo la leggenda nella memoria degli ascoltatori, che verrà rielaborata come fosse supportata dalla storia.

Da parte delle insegnanti, limitarsi alla sola leggenda locale, risulta essere una eccessiva semplificazione riduttiva che allontanerà i bambini (anziché avvicinarli) dalla curiosità e dal desiderio di conoscenza storica, andando probabilmente a incrementare quell’esercito d’ignoranti, alcuni dei quali diverranno anche politicanti, che ancora adesso sono convinti che Aleramo abbia fondato il marchesato di Monferrato, come suo primo marchese (magari nel 967), che abbia spostato Alasia o Adelasia, poi abbia fatto il carbonaio poi abbia combattuto contro i saraceni da eroe e abbia cavalcato per tre giorni attorno ad Acqui per aver il suo feudo dall’imperatore e via di seguito con le castronerie. Come le varie versioni attribuite all’origine della denominazione di Monferrato e le origini sassoni di Aleramo.

Aleramo è probabile fosse di discendenza Borgognona, la Borgogna, seppur divisa in vari ducati, regni e contee, all’epoca era gigantesco come territorio, arrivava a lambire anche i Paesi Bassi (dove è nata la Lex Salica che gli aleramici applicavano). Il conte Guglielmo, il padre di Aleramo, era quasi sicuramente provenzale, infatti era vassallo spesso al seguito di Ugo di Provenza che divenne re d’Italia. La prima moglie di Aleramo nessuno sa chi sia stata, storicamente non abbiamo la minima documentazione che abbia mai combattuto contro i Saraceni, la sua fortuna è probabilmente da attribuire al patrimonio ereditato dalle sue due mogli e alle sue doti politiche matrimoniali, alleanze opportunistiche e capacità diplomatiche. Ma mi rendo conto che c’è ben poco di romantico e leggendario in tutto ciò.

In quanto alle origini del nome Monferrato, che ancora in troppi citano come se avesse qualche fondamento storico o logico accettabile, sono da annoverare tra le castronerie ormai consolidate che andrebbero ricacciate storicamente: come la derivazione dalla coltivazione del farro o alla terra fertile: COME POTEVA ESSERE TERRA FERTILE E COLTIVATA A FARRO SE ERANO TERRITORI UMANAMENTE DESERTICI E OSTILI? Cioè erano pochissimo antropizzati, in pratica erano ricoperti da selve fitte e impenetrabili oppure in area pianeggiante e fluviale erano acquitrini e paludi, territori selvaggi e ostili, e lo furono ancora a lungo, per secoli (nel corso del X e XI secolo), dato che il nome degli aleramici Del Vasto (non meno importanti degli aleramici Di Monferrato) deriva proprio etimologicamente dal fatto che i territori da loro dominati erano “spopolati e devastati”; spopolati era facile capirne il motivo, devastati lo erano stati dalle incursioni saracene e ungare che depredarono per decenni i pochi insediamenti, villaggi, monasteri e borghi che sorgevano a notevoli distanze tra loro e spesso difficilmente raggiungibili (le cosiddette “corti” assegnate ad Aleramo nel corso del X secolo erano poche decine nel pur vastissimo territorio).

Quindi continuare a ripetere ai bambini casalesi tali limitate e antistoriche informazioni mi fa venire in mente il “riflesso condizionato” scoperto dal fisiologo russo Pavlov all’inizio del secolo scorso: cioè coloro che vengono incaricati di esporre tali castronerie sono convinti di sapere a sufficienza, perché queste cose le hanno apprese da coloro che li hanno preceduti decenni prima, e ritengono siano tuttora valide, perché non leggono, non si aggiornano, non si documentano, ripetono pedissequamente quello che hanno appreso a memoria decenni prima, ritenendolo sempre valido.

E come se qualche anzianissimo quasi centenario, avendo vissuto da balilla gli chiedessero “chi ci ha dato la luce?”, lui risponderebbe “Il Duce!”. Sono riflessi condizionati.

Possono sembrare aspetti secondari, insignificanti, trascurabili, ma non lo sono affatto. È proprio per questo atteggiamento protrattosi per decenni che abbiamo una tale grave ignoranza storica nel casalese, oltre ad una quasi totale indifferenza agli argomenti storici inerenti il Monferrato, per cui basta loro riferire quattro sciocchezze ripetendo sempre gli stessi errori e sono tutti compiaciuti e plaudenti.

Oggi, nell’epoca di Internet, siccome coloro che viaggiano si documentano bene prima di scegliere una destinazione, c’è il serio rischio che un turista che venga nel Monferrato casalese ne sappia molto di più di storia locale rispetto a un autoctono, e nella malaugurata ipotesi che l’indigeno accennasse al turista la sua presunta conoscenza di qualche evento storico, faccia una colossale figuraccia, manifestando l’ignoranza storica e culturale locale.

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