Chi renderà la politica di nuovo grande?

Make America Great Again»: quattro parole che tracciano un disegno chiaro del nuovo linguaggio politico. Dietro uno slogan apparentemente semplice, si nasconde infatti una rivoluzione comunicativa che sta ridefinendo i confini tra informazione, persuasione e manipolazione.

Il linguaggio della politica si sta facendo sempre più polarizzato e semplificato. Lo dimostrano le strategie comunicative del tycoon repubblicano Donald Trump, che hanno rivoluzionato la retorica politica creando un modello che molti leader hanno cercato di imitare. Oltre all’uso di slogan d’effetto e facili da ricordare, spicca la semplificazione estrema di temi complessi, accompagnata dalla drammatizzazione di ogni evento che possa attirare consensi nell’opinione pubblica. A questo si aggiungono una continua autocelebrazione, la delegittimazione delle fonti di informazione e l’uso preponderante dell’iperbole. Per non parlare dell’attribuzione di nomignoli denigratori agli avversari e della costruzione di nemici esterni facilmente individuabili, posti al centro di narrazioni che insistono sulle coppie antitetiche noi/loro e amici/nemici. Insomma, se la politica è dialogo, oggi sembra somigliare più a uno scontro di tifoserie, servendosi di parole che non cercano più di costruire ponti ma di scavare trincee sempre più profonde.

È proprio in trincea che sembra di stare quando ascoltiamo molti discorsi politici: frasi come proiettili, nemici da abbattere, verità ridotte a slogan. E i giovani? Sono spettatori di un conflitto permanente o vittime di una nuova forma di analfabetismo politico? Questa nuova ‘grammatica del consenso’ può generare, sostanzialmente, due effetti principali: da un lato, un fervore quasi religioso che trasforma i leader in figure salvifiche, rendendo la partecipazione democratica simile al tifo degli stadi; dall’altro, un rifiuto generalizzato di un dibattito politico sempre più aggressivo e superficiale.

Questa mutazione del linguaggio politico rappresenta una minaccia seria per i meccanismi democratici, poiché quando il dibattito pubblico diventa uno scontro di narrazioni contrapposte invece che un confronto di idee, inevitabilmente si indeboliscono i principi stessi della rappresentanza. La soluzione passa attraverso un difficile recupero della complessità: dei temi, del pensiero, dei valori. Occorre ricostruire un linguaggio che torni a unire invece che dividere, abbandonando la logica delle trincee per edificare ponti. Chi meglio dei giovani, facili prede di questo dibattito acritico ma al contempo molto attenti nel riconoscerne le dinamiche aggressive e superficiali e a prenderne le distanze? La vera rivoluzione non sarebbe, allora, gridare più forte, ma saper ascoltare: recuperare la pazienza del dialogo, la fatica del confronto, la dignità del dissenso costruttivo.

Lascia un commento

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.