COMPITO IN CLASSE DI GRECO – ANNO 1952

Siamo finalmente forse sulla buona strada per uscire dalla imprevista ed inimmaginabile “vicenda” coronavirus, ritornando ai problemi di sempre, politici, economici ed altro, diventati certamente molto più complessi e problematici.

V’è spazio per ciascuno di noi per ricordare aspetti di vita passata. Così voglio ricordare un episodio scolastico. Insegnante di Greco era il Professor Taccone, parente del noto grecista e lui stesso grecista, che si fermò a Casale un solo anno: persona molto seria, corretta, piuttosto taciturna. Eravamo in piena estate ormai, anno 1952 ultimo trimestre, compito in classe di greco al pomeriggio dalle 14,30 alle 16,30: il sole batteva inesorabile, faceva caldo. Il professore chiedeva ed otteneva l’ora di religione perché potessero esserci due ore di seguito.

Il professor Taccone, partiva dal presupposto assoluto che noi ci impegnavamo perché sapevamo che dovevamo studiare per la nostra vita!!! Quale errore! Con qualche verità, ma nel complesso, errore appunto. Così se ne stava seduto sulla cattedra, leggeva e scriveva, mentre noi traducevamo il greco: traducevamo? Non era proprio il termine esatto perché, avendo rapidamente… acquisito che lui non si muoveva dalla cattedra, ci eravamo muniti, in fase crescente, delle traduzioni interlineari e libere dei vari testi degli scrittori greci che potevamo trovare, arrivando così a scuola con le cartelle piene: cartelle che depositavamo ai nostri piedi. Il nostro problema non era dunque tradurre, ma quello di poter individuare quale fosse l’autore e quale la sua opera per poi provvedere a rintracciare il testo e… copiarlo. Con il passare dei mesi, avevamo raggiunto via via forme di perfezione sempre più raffinate: eravamo un gruppo compatto che silenziosamente agiva di pieno concerto. E quanto più copiavamo, tanto più le nostre… capacità di traduzione si affievolivano: nel contempo, il nostro professore, ci rifilava via via testi da tradurre sempre più difficili.

Coloro che trovavano la traduzione, ne facevano copie in carta carbone per passarle ai compagni, e così fioccavano i 7 e gli 8, con il professor Taccone che diceva (lo sapemmo tempo dopo) che una classe così non l’aveva mai avuta!!! E lo diceva anche a chi, avendo il figlio a scuola, restava stupefatto nel sapere appunto che il detto suo figlio, che a casa non vedeva mai tradurre testi di greco, in classe potesse conseguire risultati così stupefacenti.

Ma quella volta, nessuno riuscì a trovare la traduzione del testo unico che era stato dato alla classe. Mancava meno di mezz’ora, stravolti dal caldo e dallo stress, quando il capoclasse Franco Buzzi (dopo brevi consultazioni espressive del viso e qualche cenno) si alzò e disse: professore, non siamo capaci di tradurlo! Momenti terribili, di gran silenzio, poi il professore si alzò e fece un giro per i banchi mentre noi con le mani e qualche… spinta del piede, cercavamo di occultare le straboccanti cartelle. Con costernazione mista a incredulità e quasi rabbia, vedendo le pagine inesorabilmente vuote (o magari al più due righe cancellate), borbottò qualcosa e poi disse una frase che ben non ricordo ma che suonava così: questo è un ammutinamento! Sì, dal suo punto di vista non poteva che apparire essere una autentica ingiustificata ribellione. Il fatto è che a forza di copiare, non sapevamo più tradurre! Così terminò quel drammatico pomeriggio.

La scuola stava per finire e noi in altro pomeriggio ancor più accaldato, ci trovammo per il rinnovato 2° compito in classe del trimestre, essendo stato quello narrato, annullato dal professore. E quale fu la nostra sorpresa? Venne consegnato ad ognuno di noi, con scelta fatta a caso, un testo stampato su fogli strappati da libri: eravamo 19, e furono 19 fogli. Ognuno per sé e Dio e per tutti! Con il prof seduto sulla cattedra e disposto ad aiutarci singolarmente. E così fu una fila ininterrotta di alunni che a lui si rivolgevano, ma… non per chiedere spiegazioni o aiutini, ma per cercar di capire quale fosse l’autore e quale il testo: una volta compreso questo, ognuno chiedeva agli altri, chi poteva avere il detto testo tradotto. Così ciascuno ebbe la sua “storia” e quindi la sua personale narrazione. Si andava da testi terrificanti ad altri meno complessi, ma che per noi, al termine di quell’anno, presentavamo tutti difficoltà enormi. Ad uno (ragazzo in gambissima), ad esempio, capitò un testo di uno scrittore greco del tutto sconosciuto: non trovandone il testo, tuttavia riuscì ad esprimerne in parte il significato, prese 4 e fu un voto altissimo fra coloro che la traduzione non trovarono.

E adesso racconterò brevemente, come possibile dato lo spazio, la mia “storia”. Quando essendo in coda, finalmente riuscii ad accedere al prof, con ogni circospezione cercai di capire o meglio… carpire chi fosse l’autore dello scritto, ovviamente fingendo di non comprendere alcune parole: alla terza volta in cui ritornai, il prof mi disse che non era difficile, che era Senofonte. Ritornato al posto, verificai che purtroppo io non avevo testi su quello scrittore, mentre in classe continuava un sottile brusio di noi tutti. Ritornato dal prof dissi più o meno che Senofonte aveva scritto libri di natura guerresca, mentre il mio testo (di cui… non avevo tradotto nulla) non aveva quel contenuto, al che lui mi disse: ma certo è tratto dall’Economico (non ricordo bene se così mi disse) e poi Senofonte è facile, e scopersi appunto che si trattava di altri argomenti. Tornai al posto affranto: ma chi poteva avere un tal libercolo! Lo aveva il mio compagno di banco Pier Gaetano Sirchia (il Tanino), il padre di Nicola Sirchia che con uno sguardo difficilmente interpretabile mi allungò lo stampato dicendomi che c…, ma sì lo dico: che culo, eccolo! Faticosamente cercai di individuare la parte che mi era stata assegnata. Trovatala la lessi rapidamente e poi andai dal professore fingendo di essere ben inoltrato nella traduzione, ritornando un po’ dopo, a traduzione di fatto copiata ormai del tutto, e sempre chiedendo delucidazioni che… non mi interessavano ormai più. Mancava circa una mezzoretta al suono del campanello ed il prof che avevo interpellato mi disse che se riuscivo, potevo andare oltre il limite di traduzione fissatomi: ed andai un po’ oltre, ma stando attendo a… non tradurre ciò che nel testo datomi non c’era!!!

A questo punto cercai di aiutare il mio compagno di banco che non aveva trovato la traduzione, ma non ero capace ed il tempo mancava. Nel banco dietro a noi vi erano due fuoriclasse: Giampaolo Pansa e Gianni Zandano (quest’ultimo dalla carriera folgorante, diventato fra l’altro Presidente della banca San Paolo) che si arrovellavano sul loro testo, non avendo trovato la traduzione).

Questa, la situazione di quel pomeriggio folle sotto ogni aspetto e con sfaccettature infinite. La assegnazione dei singoli testi era avvenuta a caso, uno per uno: a qualcuno capitò anche un testo di scrittore a noi sconosciuto. Conclusione, metà della classe e forse più venne rinviata di greco ad ottobre.

L’anno successivo, l’ultimo, quello dell’esame di Stato, arrivò la prof.ssa Irene Ubertis. Non v’è spazio qui per descrivere i primi contatti con noi: con voce acutissima e comportamenti di disperazione, si sbracciava di continuo dicendo: ma ragazzi, avete l’esame di Stato!!!. E cominciò ad assegnarci i due testi da tradurre, fila di destra e fila di sinistra, staccando i banchi ed effettuando un controllo spietato. E l’esame di Stato come andò? Incredibile! Nessuno di noi venne rinviato ad ottobre.

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