Crisi Demografica

Recentemente l’Istat, l’Inps, il Censis e altri istituti di ricerca, hanno segnalato che l’Italia è un Paese in crisi, sempre più povero, dove le disuguaglianze, sociali ed economiche, diventano ancora più stridenti. Sulle cause che hanno determinato (e continuano a determinare) questa situazione si è sviluppato un intenso dibattito pubblico cui non corrispondono fatti concreti. Dibattito in cui il protagonismo retorico, soprattutto della classe politica, ha il sopravvento sulla ricerca delle soluzioni adeguate per porvi rimedio. Il fenomeno mostra con tutta evidenza una duplice causa legata al continuo invecchiamento della popolazione unitamente al fenomeno delle culle sempre più vuote: aumento degli anziani e denatalità sono due facce della stessa medaglia.

Una società con meno giovani e più anziani avrà effetti negativi sulla crescita economica del paese, perché alla diminuzione della forza lavoro per la carenza di nuove leve, ci sarà una crescente e costosa necessità di nuovi servizi sanitari (e non solo) per la crescente componente sociale degli anziani. In altri termini, se la tendenza di questo processo non si attenuerà, è prevedibile un riflesso negativo sulla consistenza del PIL (Prodotto Interno Lordo) dei prossimi anni. A tal riguardo occorre far notare che nella formazione del PIL (ricchezza prodotta) contribuiscono molti fattori, ma fondamentalmente agiscono in modo differente due parti diverse: una legata alle attività produttive (industriale, agricola, commercio), definito “PIL produttivo”, un’altra, invece, connessa alla produzione di servizi (socio sanitario, educativi, amministrativi della PA, finanziari) sempre più costosi, definito “PIL improduttivo”.

La spirale di questa tendenza (denatalità e invecchiamento della popolazione) porterà a far crescere la componente del “PIL improduttivo” rispetto alla componente del “PIL produttivo”, e questo prefigurerà l’insostenibilità del sistema.

La fragilità della consistenza del PIL non è l’unica conseguenza negativa legata al rapporto tra denatalità e crescita del numero di anziani. C’è dell’altro, e forse anche più importante. Ci si riferisce alla crisi del modello tradizionale della famiglia, prima imperniato sul padre come unico sostegno economico e la madre dedicata all’accudimento della piccola comunità familiare. Occorre un nuovo modello di famiglia sorretto di adeguati interventi necessari al nuovo contesto, per non perdere la capacità di costruire relazioni, soprattutto nei confronti dei più fragili: giovani e anziani sempre più soli, e vittime di solitudine.

Il processo d’invecchiamento demografico appare come una delle principali sfide di oggi e degli anni a venire. Il rimedio dovrà muoversi su più fronti, con interventi e iniziative, soprattutto della classe politica, equilibrati e non superficiali. Occorrono politiche attive del lavoro finalizzate alla ricerca, formazione e innovazione per dare alle imprese e ai lavoratori possibilità di adattarsi ai contesti in continua evoluzione. Occorrono politiche attive per l’immigrazione dando piena attuazione al principio costituzionale dell’uguaglianza, favorendo l’integrazione e la coesione sociale. Occorrono politiche attive a sostegno delle famiglie, come nucleo fondamentale della società, dove il ruolo delle donne abbia pari dignità a quello degli uomini. Non basta aggiungere al ministero della Famiglia l’auspicio “e natalità”.

In altre parole, la vera sfida non è da ricercare nella rivoluzione demografica, dando spesso una connotazione negativa all’invecchiamento della società. Se l’aspettativa di vita è aumentata, occorre rallegrarsene e rivedere il concetto di vecchiaia unitamente a un ripensamento dell’intero sistema welfare.

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