Leggendo svariati testi sulle crociate in mio possesso, per estrarre informazioni sulla partecipazione degli aleramici di Monferrato alle stesse, mi sono imbattuto in parecchie citazioni di Tancredi d’Altavilla come figlio di un certo Oddone di Monferrato (in altre versioni riportato come Oddone Bonmarchis, il Buon marchese o Marchisius, Odobono o Odone Bono, ecc., quasi tutti lo riportano come fosse appartenente alla dinastia dei di Monferrato, alcuni autori si limitano invece a definirlo un principe piemontese, cosa peraltro impropria in quanto all’epoca l’area geografica in oggetto era definita “Lombardia” e lombardi i suoi abitanti), il quale sarebbe stato marito di Emma d’Altavilla sorella di Boemondo principe di Taranto e d’Antiochia.
Stante le premesse sopra riportate, sapendo che i marchesi di Monferrato che hanno partecipato alle Crociate sono tutti ben identificati e la Terra Santa avrà loro portato gloria e onori (moderatamente, peraltro) ma non certo fortuna e ricchezza, semmai il contrario, essendo la partecipazione alle crociate assai dispendiosa e avendo trovato essi la morte in tempi relativamente brevi (oltre a Guglielmo il Vecchio, e i suoi figli Corrado e Guglielmo detto Lungaspada, rammentiamo anche i marchesi morti nei Balcani dopo la IV Crociata, per regnare, difendere o recuperare il regno di Tessalonica, come Bonifacio I e il figlio Guglielmo VI), ho subito pensato che tale personaggio, praticamente ignoto alla storiografia ufficiale, appartenesse probabilmente al casato aleramico del Vasto-Savona, come Adelaide o Adelasia del Vasto o di Savona (sono sempre molteplici i modi in cui i cronisti e gli storici identificano gli stessi personaggi, creando nei profani, ma anche tra gli addetti ai lavori, una certa confusione), che molti ancora oggi definiscono impropriamente Adelasia di Monferrato, sposa del granconte Ruggero I di Sicilia e madre di Ruggero II. Personaggio femminile di primaria importanza e valore, una delle più ricche e potenti donne della sua epoca (reggente del regno di Sicilia e regina di Gerusalemme, portando in dote al regno crociato ben nove navi cariche d’oro e pietre preziose), di cui accennai nella prima parte della stesura.
Quindi se le cose stessero veramente così, il celebre Tancredi sarebbe per metà di sangue aleramico o addirittura di Monferrato, se ci accontentassimo di superficiali e approssimative attribuzioni storiografiche.
Trovandomi in difficoltà e non peccando di orgoglio, ho ritenuto opportuno richiedere collaborazione all’amico Manfredi Lanza. L’ho interpellato in quanto storico dinastico degli aleramici discendenti dai del Vasto, essendo lui un discendente dei Lancia poi divenuti Lanza, che hanno seguito Adelasia del Vasto in Sicilia quando andò in sposa al granconte Ruggero I e assunsero col tempo l’investitura di decine di feudi e titoli anche principeschi nell’isola fino all’Età Moderna, ma si è trovato anche lui spiazzato.
Ho coinvolto anche il noto e stimato medievista Aldo Angelo Settia, che ringrazio per la sollecita risposta, ma che purtroppo come temevo, non ha potuto fornirmi alcun apporto, essendo specializzato sulla storia degli aleramici di Monferrato e non sulle altre dinastie.
Espongo in seguito una sintesi di quanto ho potuto appurare in un vero e proprio calderone di notizie approssimative e contrastanti, emerse dai vari testi da me posseduti e consultati e dalle numerose interazioni con Manfredi Lanza.
– In uno dei testi consultati, “Tancredi” principe di Antiochia risulterebbe figlio di Emma e di un Eude (cioè pur sempre Oddone, ma in versione francese del nome, e siccome i normanni recatisi in Meridione d’Italia erano linguisticamente francofoni – non farebbe automaticamente pensare agli aleramici). Se non che il Lanza si è poi imbattuto in un “Oddone” detto il Buon Marchese, uomo d’arme (sec. 11 – 12°), di origine piemontese, venuto nel Mezzogiorno d’Italia al seguito di Adelaide moglie di Ruggero, granconte di Sicilia, che sposò una sorella di Boemondo di Taranto, dalla quale ebbe Tancredi, il famoso crociato”.
– In un altro testo consultato è emerso che è esistito un Ottone (Oddone) di Sicilia o Odobono o Odone Bono, marchese in Sicilia (Odo Bonus Marchisius), che avrebbe preso valida parte alle ultime fasi della campagna normanna di conquista dell’Isola sugli arabi (come comandante in capo delle truppe normanne del granconte Ruggero) e risultava documentata in particolare la sua presenza nell’isola negli anni dal 1094 al 1097. Non solo il suo nome personale, ma soprattutto la qualifica attribuitagli di “marchese” (estranea alla Sicilia e al costume normanno) ha indotto diversi autori a reputarlo un aleramico, da cui la supposizione (molto probabilmente errata) di Monferrato. E in questo caso, sarebbe certamente approdato nell’isola al seguito di Adelaide di Savona (Del Vasto). Risulta, però, coniugato con una certa Sichelgaita (dal nome germanico si tratta molto probabilmente di una longobarda del sud Italia). Avrebbe avuto prole, ma su di essa non si sa nulla.
Che il marchese fosse un aleramico non credo possano sussistere dubbi, sono troppi gli indizi a favore di questa tesi, a partire dal nome Oddone o Ottone da cui Odone riportato nei testi antichi, nome tipicamente aleramico, e poi il titolo nobiliare di marchese, tipico del nord Italia, estraneo ai normanni che erano conti, duchi o principi. Inoltre sappiamo, come ho ancora ribadito nella prima parte di questo saggio, che al seguito di Adelaide del Vasto, oltre a diversi componenti del suo gruppo famigliare, nei decenni successivi decine di migliaia di migranti lombardi (come venivano chiamati all’epoca), provenienti soprattutto dai feudi aleramici piemontesi e liguri, che si stima in numero di circa 100mila, sbarcarono in Sicilia sicuramente in seguito ad accordi pianificati coi normanni, per insediarsi in vastissime zone insulari orientali dal Tirreno allo Ionio.
– Il Lanza mi riferisce inoltre di un altro Odobono, forse appartenente al casato aleramico degli Incisa, che in quell’epoca era presente in Puglia, quindi anch’esso sotto il dominio dei normanni, in tal caso più prossimo ai possedimenti dei principi Boemondo di Taranto e di Tancredi. Probabilmente questi due Odobono sono stati confusi tra loro, in quanto i casi di omonimia erano abbastanza frequenti, anche se come nome doveva essere alquanto insolito all’epoca e in quelle contrade e non dovrebbe favorire sovrapposizioni e fraintendimenti, oppure sono stati commessi errori di identificazione e collocazione geografica di uno stesso individuo, facendone sorgere due, mentre in realtà il personaggio è unico e si era semplicemente e temporaneamente spostato.
Su alcuni testi di storia locale, cosiddetta minore e generalmente trascurata, inerenti diverse regioni storiche peninsulari e insulari, di cui dispongo per grazia degli storici locali con cui interagisco che m’inviano le loro pubblicazioni, ho trovato diversi riferimenti a un personaggio con un nome simile, che potrebbe corrispondere ma anche essere solo un caso di analogia e omonimia.
Cito qualche esempio:
– Diversi testi di storici locali fanno riferimento a un antichissimo documento (pergamena in lingua greca) del Mezzogiorno d’Italia, all’epoca della dominazione normanna (con specifico riferimento a territori campani e calabresi), datato settembre 1097: “LXIV. (1097) – Mense Septembri – Indict. VI. – Odo Marchisius Sergio monacho donat ecclesias sancti Phantini et sanctae Cyriacae, cum facultate aedificandi ibidem monachorum domos”, si cita un signore normanno: ‘Odo Marchisius’, che nell’anno 1079 concedeva un privilegio a un monaco di Vibonati per costruire un monastero a Scido (in Aspromonte, provincia di Reggio Calabria).
Il personaggio Normanno ‘Odo Marchisio’, ricorrerà spesso su altri documenti dell’epoca ed è sempre citato con il titolo di marchese e donerà terre per costruire monasteri in Calabria e Campania, rivelando pertanto di essere un personaggio di nobile lignaggio e piuttosto benestante e generoso.
– La Famiglia Normanna dei Marchisio, secondo alcuni storici locali, aveva in feudo in quell’epoca alcune terre del Cilento (attualmente in Campania ma anticamente era Lucania) che pare disponessero del rango di marchesato, cosa alquanto insolita nei domini normanni che erano prevalentemente contee e ducati, non mi risulta infatti vi fossero nobili “normanni” con l’investitura di marchesi. È molto probabile che il cognome Marchisio loro attribuito derivi dal titolo di marchese e sia stato assunto molto successivamente all’investitura feudale, oppure è stato attribuito impropriamente dagli autori, che avranno confuso il titolo nobiliare col cognome della dinastia, non essendo avvezzi a tale titolo nel Medioevo nel Mezzogiorno d’Italia. Del resto è comune che la storiografia locale pecchi di questi errori, assai diffusi, sia per una certa dose di improvvisazione, e sia perché mancano sufficienti basi storiche agli autori, non potendo oltretutto pretendere che chiunque si accinga a scrivere di cose storiche abbia letto e appreso tutto lo scibile umano inerente precedentemente pubblicato.
– Alcuni storici locali nei loro testi sono convinti che Oddone Bonmarchis (il Buon Marchese, a volte denominato Oddone Buon Marchisio), fosse sposo di Emma, figlia primogenita di Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo (duca di Puglia e Calabria e Signore di Sicilia) e quindi sorella di Boemondo principe di Taranto, e appartenesse alla nobile famiglia dei signori di Monferrato (altri storici locali si limitano a definirlo di origine e provenienza “piemontese”). Se così stessero le cose sarebbe indubbiamente il padre di Tancredi d’Altavilla.
Un bel mistero o meglio: un guazzabuglio.
Com’è possibile che ci sia così tanta confusione ed approssimazione su un marchese dell’XI secolo? Titolo peraltro inusuale per non dire inesistente tra i normanni e di rango piuttosto elevato, superiore alla maggioranza dei titoli nobiliari normanni, che erano prevalentemente conti. E titolo anche più raro di quanto si creda, nella stessa Italia settentrionale in quell’epoca.
Noi sappiamo che i marchesi di Monferrato si sono recati in Terra Santa (e ci sono anche morti) e in seguito nei Balcani a depredare Costantinopoli con la Quarta Crociata creando il Regno Latino di Tessalonica,
ma non ci risulta che alcuni di loro siano mai andati nel Regno di Sicilia e/o abbiano partecipato alla prima crociata al seguito dei normanni del Meridione. Semmai sia stato effettivamente un marchese aleramico, il nostro ignoto personaggio è molto probabile che fosse un del Vasto.
A questo punto Manfredi Lanza mi rammenta che “Bono”, soprannome attribuito a entrambi i personaggi, sia il marchese siciliano e sia quello pugliese, cui fanno riferimento gli storici locali, non è un soprannome molto diffuso. Rammenta l’abbreviativo o diminutivo che il marchese Tete (Ottone del Vasto, detto anche Teuto o Teotone) aveva attribuito al suo terzogenito, da lui destinato alla religione o a opere pie e che era invece assurto brevemente al marchesato a seguito della morte improvvisa e violenta dei fratelli Manfredi (o Manfredo) e Anselmo, trucidati a furor di popolo a Savona nel 1079 d.C. durante un tentativo di rapimento di una giovane promessa sposa, nel giorno stesso delle nozze, che i prepotenti marchesi – narrano alcuni cronisti liguri – avrebbero voluto invece affidare al fratello minore Ottone, detto tradizionalmente Oddone o Oddo. Di questo Oddo, dopo l’episodio di sangue si perdono le tracce, come si fosse volatilizzato.
Se fosse proprio lui l’Odo Bono di Sicilia? Se fosse lui, avrebbe potuto fregiarsi legittimamente del titolo di “marchese”, in quanto tale di lignaggio e pure zio della grancontessa Adelaide, figlia di Anselmo e nipote di Bonifacio del Vasto (divenuto suo tutore), che dai cronisti dell’epoca (anche normanni) veniva definito il più potente e famoso marchese d’Italia, avendo esteso enormemente il proprio marchesato in ampie porzioni dell’attuale Piemonte e Liguria.
È ovviamente solo una congettura che il Lanza ha abbozzato e tale deve rimanere, un’ipotesi e nulla più.
La sua altamente probabile appartenenza all’alveo vastense è data dal fatto che è stato Bonifacio del Vasto ad inviare, nel 1089, una nutrita schiera di “lombardi” in appoggio ai normanni in Sicilia, combinando l’immediato matrimonio della nipote Adelaide (di Savona) con il granconte Ruggero I d’Altavilla, da poco vedovo di Eremburga di Mortaing, e altresì di due sue sorelle con figli del granconte.
Non molti anni dopo, il fratello di Adelaide, Enrico, è approdato anch’egli in Sicilia e ha sposato a sua volta una figlia naturale del granconte, Flandrina o Flandina. È plausibile che nella pianificazione del patto d’alleanza sia stato contemplato anche un altro matrimonio, forse coevo di quelli di Adelaide e delle di lei sorelle, quello del marchese Odo con la sorella o figlia del Guiscardo, pertanto sorella o nipote di Ruggero I. Il fatto che Tancredi sia sempre definito normanno non deve ingannare, è tipico di quasi tutti i testi storici ripetersi pedissequamente, e dare comunque rilevanza all’appartenenza al casato primario, prioritario e principale, quasi mai a quello considerato secondario, indipendentemente
che sia di linea materna o paterna. Anche Ruggero II re di Sicilia è considerato da tutti gli storici e in tutti i documentari (anche della prestigiosa BBC inglese) come normanno, senza mai citare che la madre era aleramica e quindi era per metà “lombardo”. Maschilisticamente si potrebbe affermare che la linea materna era di secondaria importanza, sia perché si applicava la legge salica (Lex Salica, che tra le varie norme contenute prevedeva che le figlie non potessero ereditare le terre saliche, cioè dei Franchi Sali, tribù germanica collocata nell’attuale Olanda Settentrionale) e quindi la successione era esclusivamente maschile, applicando l’istituto del maggiorasco (subentrava al potere e nel possesso del patrimonio famigliare il figlio primogenito) e sia perché il marito di nobile lignaggio di mogli poteva averne avute parecchie (anche perché le ripudiava o peggio), ma in tal caso il nostro Tancredi avendo come padre l’aleramico Odobono avrebbe dovuto essere considerato aleramico e solo dopo normanno, invece non avviene neppure il contrario, ma la discendenza aleramica è sistematicamente taciuta.
Concordo con il Lanza che difficilmente potremo mai risalire all’identità certa del personaggio, quasi sicuramente aleramico vastense, innanzi tutto perché gli studiosi di Piemonte e Sicilia si ignorano a vicenda, al di là di effimere e puramente mediatiche iniziative turisticheggianti, che sfruttano la storia solo come richiamo per sporadici eventi estemporanei e superficialmente culturali, le due regioni, accomunate dal passato medievale che sappiamo essere strettamente interconnesso, si snobbano e si guardano bene dall’intrecciare i loro studi e le loro ricerche storiografiche. In secondo luogo, è assai probabile che il marchese Odo Bono fosse molto giovane quando si è allontanato dalle terre vastensi e pertanto difficilmente può aver lasciato traccia di sé e se anche vi fossero, chissà in quali archivi o biblioteche potrebbero mai essere sepolte.
In alcuni testi redatti dal Lanza ma mai pubblicati, tra i quali Traccia di un repertorio sommariamente ragionato delle carte attinenti alle famiglie aleramiche, nell’anno 1097, l’11 di settembre, a Bonato (Sicilia), è registrata notizia di una donazione, redatta in greco a suffragio delle anime dei fratelli e forse di altri parenti, fatta da “Odobono” a favore di un certo Sergio, monaco della chiesa di S. Ciriaco di Filati. Sempre all’anno medesimo, senza precisazione del mese né del giorno: una Litis contestatio in cui “Oddone bono marchione” compare in qualità di testimone, conservata in originale presso l’Archivio capitolare di Agrigento e cui accenna C. A. Garufi, in Gli Aleramici e i Normanni in Sicilia e nelle Puglie nella miscellanea “Centenario della nascita di M. Amari”, 1906, poi in volume a Palermo del 1910, a p. 190.
Il Lanza conclude convincendosi che l’Odo Bono meridionale sia uno solo e sempre il medesimo, che agisca in Sicilia o in Puglia, anche se contrasta la faccenda delle spose e dei figli, che paiono decisamente diversi. La prima cosa che andrebbe fatta è stabilire se ci siano stati due distinti Odo Bono, ambedue marchesi, negli stessi anni e nelle due distinte regioni. Sarebbe, quanto meno, singolare e raddoppierebbe i problemi d’identificazione con riferimento alle origini.
Sulla questione della moglie dal nome germanico longobardo, occorre rammentare che il longobardo Gisulfo II principe di Salerno e duca di Amalfi, dovette dare in sposa la sorella Sichelgaita a Guglielmo d’Altavilla fratello di Roberto il Guiscardo, per limitare le loro brame belliche di conquista e ricevere in cambio protezione (probabilmente alcune fonti storiografiche confondendosi l’assegnarono come sposa a Odo Bono marchese aleramico, come presunta madre di Tancredi).
In un altro documento in lingua greca datato 1126 si riporta invece che il marchese Odobono oltre a Emma ebbe come altra moglie Sichelgaita, e questo spiegherebbe la discrepanza tra documenti a proposito del nome della moglie, il personaggio è lo stesso, semplicemente ha avuto due mogli. In tal caso l’arcano si risolverebbe e saremmo pressoché certi che il famoso crociato Tancredi era figlio di un aleramico.
Non avremo mai la soddisfazione di sentirlo citare in qualche documentario storico e neppure nei testi accademici di storia, ma almeno noi monferrini saremo consapevoli di un altro tassello che unisce la grande storia con la nostra cosiddetta minore e locale.
L’immagine in evidenza rappresenta Tancredi durante l’assedio di Gerusalemme.
(Terza parte – continua)