In data 22 novembre 2021 ho narrato in sintesi aspetti di vita mia e miei familiari sotto il titolo “Da Como a Molino dei Torti 1942 – 1945”
Mio padre era infatti maresciallo dei Carabinieri a Como.
A seguito della costituzione a Roma dell’Ispettorato Generale di Polizia per i servizi di guerra, il 6 marzo 1942 con F.N. 76/13 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali – Ufficio Mobilitazione – con altri carabinieri specificatamente indicati provenienti da varie parti, venne improvvisamente ed immediatamente trasferito da Como a Roma e assegnato al detto Ispettorato. E di lui per parecchio tempo, la mia famiglia nulla più seppe. Vicende di mio padre sono narrate nel Diario che lui scrisse, “Un carabiniere testimone di storia: Mussolini prigioniero a Ponza e a La Maddalena”, stampato con tale titolo nel 2017, di cui è in stesura una nuova edizione
Mia madre, io e mio fratello Graziano, ci trasferimmo allora a Molino dei Torti (AL), luogo di nascita di mia madre, trovando alloggio presso la sorella di lei Luigina, ove stemmo fino a guerra finita. Del periodo a Molino dal 1943 al 1945, ho narrato in precedenza alcuni episodi. Adesso ricordo altri aspetti.
Mentre eravamo a Molino, mio padre, come descritto nel Diario, si trovava alla villa Weber all’Isola La Maddalena quale custode con altri carabinieri di Benito Mussolini. Mussolini venne poi trasferito improvvisamente al Gran Sasso. Mio padre riuscì ad imbarcarsi per Roma forse su una nave da guerra: la navigazione fu di massima allerta ed in quel frangente si parlò della invenzione degli alleati e cioè del radar. Lasciò Roma sfuggendo alla cattura dei tedeschi nell’ottobre del 1943 ed in modo avventuroso, giunse a Molino dove noi eravamo “sfollati”. Era sera inoltrata, bussò alla porta di casa, aprì mia madre e lo vide in uno stato pietoso, con barba lunga e trasandato dicendo appunto era sfuggito ai tedeschi.
Mia madre gli disse: “Ma noi qui i tedeschi li abbiamo in casa”. In effetti vi era il tratto di fabbricato abitato da noi che era una dependance della maggior costruzione dove abitava la sorella di mia madre ed in questa i Tedeschi avevano stabilito un loro centro di Comando provvisorio con brevi alternanze di truppe e con ufficiali che ivi dormivano. Lì stemmo fino alla fine della guerra.
Dopo la guerra ci trasferimmo a Casale Monferrato dove mio padre era stato da poco nominato Comandante della Stazione dei Carabinieri: abitammo nella caserma. Lui andava e veniva da Molino dei Torti a Casale e viceversa in bicicletta, passando da Valenza. Diverse volte aveva fatto incontri non piacevoli: una volta in particolare, passato il definito famoso “barachin del moro” dal folto del bosco, scesero due persone mal intenzionate ed una con un grosso bastone, al che egli esibì in modo vistoso una pistola facendola ballonzolare davanti a sé. Le due persone si scostarono mentre lui passava in bici oltre.
Mio padre, “aprì” materialmente la caserma o meglio quella parte della Caserma che non era “occupata” dai Partigiani. La “convivenza”, all’inizio con certa ovvia reciproca “circospezione”, trovò pressoché subito una forma del tutto corretta ed amichevole: così del resto doveva essere.
Come dettaglio non da poco, disse che nella caserma non ovunque vi era una divisione di tipo murario verticale. Ricordo che, seppur con accenni che noi fratelli captavamo, aveva accennato al fatto che si poteva attraversare l’edificio materialmente e orizzontalmente da una parte all’altra delle due “zone” Carabinieri – Partigiani, essendo moltissimi tratti di muri interni abbattuti. In una delle prime notti ad un certo punto si trovò di fronte, nella stanza dove dormiva, alcuni partigiani venuti a “fare due chiacchere”. Tempi lontanissimi di un dopo guerra appena iniziato.