Monferrato e la sua storia

di Claudio Martinotti Doria

da Nuove Frontiere News Aprile 2017 (completo)

Il Monferrato negli ultimi decenni sta destando un notevole interesse presso diverse istanze sociali ed istituzionali, sia interne al suo vasto territorio, che esterne e turistiche, attratte dalla percezione della sua ricca, intensa, affascinante e variegata storia. Ma è appunto questo il punto, la nota dolente. In quanto la sua storia è solo percepita superficialmente, e che lo sia da parte dei turisti è più che accettabile, il turista non deve necessariamente conoscere la storia di un territorio per visitarlo,può anche solo averne una vaga idea e qualche accenno edapprofittare del soggiorno per apprendere di più, ma non si può dire lo stesso quando ad occuparsene sono livelli istituzionali o addirittura addetti ai lavori o presunti progettisti e pianificatori, che spesso dimostrano di occuparsi di argomenti di cui non sanno nulla, bluffano di sapere, dissimulando la propria grave ignoranza in materia.

Negli ultimi anni ho assistito a veri e propri scempi a detrimento della storiografia del Monferrato, nell’abusare di iniziative di marketing turistico e di presunta valorizzazione e promozione territoriale (che è una pretesa assurda, come si può valorizzare un territorio se si ignora la sua Storia), con approssimativi ed arbitrari riferimenti storici e con forzature culturali e di immagine. Come il ricorrere continuamente, anche in maniera inappropriata, al recentemente attribuito riconoscimento a Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, che in realtà si limita solo agli infernot, cioè alle cavità scavate nella marna in cui si fa invecchiare il vino in bottiglia, mentre si continua paradossalmente a trascurare l’altro riconoscimento UNESCO situato in Monferrato, il Santuario nonché Parco Regionale di Crea (presso Serralunga di Crea AL), attribuito ormai da parecchi anni. Due riconoscimenti UNESCO nella stessa regione storica, costituiscono in effetti una rarità ed opportunità da sfruttare, ma senza venire mai meno al dovuto rispetto per i fruitori.

Chi conosce ed ama il territorio natio o d’adozione, la propria “piccola patria”, non può non provare disagio, finanche imbarazzo di fronte a maldestri e spesso supponenti tentativi di fornire un’immagine territoriale avulsa dalla realtà storica e fattuale, come i redattori e lettori di Terra Insubre sanno bene e non temo di essere smentito affermando che condividano queste mie interpretazioni.

Non è questa la strada che andrebbe percorsa. Chi ha le risorse, i mezzi, i contatti, ecc. per valorizzare un territorio dovrebbe prioritariamente rivolgersi a chi lo conosce bene dal punto di vista storico, sociale e culturale e dovrebbe costituire una squadra ben coordinata, e non proporre progetti astrusi che fanno da contenitori di iniziative eterogenee ed inconciliabili, inventando spot pubblicitari e facendo marketing da salotto.

Queste brevi premesse mi sono permesso di esporle perché sono valide a tutte le latitudini e non solo con riferimento al territorio di cui mi accingo a raccontarne la storia delle origini.

Uno degli errori/orrori che si commettono con maggior frequenza è di collocare la nascita del Monferrato nel 967, una convenzione priva di fondamento storiografico, della stessa gravità e grossolanità del definire Aleramo primo marchese del Monferrato.

Ci si riferisce al famoso DIPLOMA dell’imperatore Ottone I in favore del marchese Aleramo (capostipite), datato 22 marzo 967 a Ravenna, su intercessione dell’imperatrice Adelaide (e non sarebbe la prima volta), nel quale si confermano i possedimenti aleramici, cioè i suoi “comitati” e le sue “corti”, aggiungendone delle nuove in luoghi deserti (cioè non antropizzati, selvaggi, ancora da bonificare, situati prevalentemente nell’appennino ligure piemontese, da cui poi deriverà il nome della dinastia aleramica Del Vasto, la più potente dopo quella Di Monferrato, che dominerà per secoli il sud Piemonte e la Liguria).

Nella lista dei possedimenti che gli sono confermati dall’imperatore emerge anche Montisferrati, ma siccome nell’elenco subito dopo è seguito da Taurinensi, e siccome Torino all’epoca ed ancora per secoli sarebbe stato un piccolo villaggio di pescatori sul fiume Po (Casale Sant’Evasio, che poi diverrà Casale Monferrato, in confronto era già un borgo appetibile politicamente e militarmente, e ancora per alcuni secoli non farà parte del nascente marchesato, essendo fiero della propria indipendenza), si possono evincere alcuni concetti e supposizioni più che fondate.

Prima considerazione: il Monferrato esisteva già e faceva parte, probabilmente come parte infinitesimale, della Marca Aleramica, che con l’Arduinica e l’Obertenga erano state istituite a metà del X secolo dall’allora re e imperatore Berengario II d’Ivrea della potentissima dinastia degli Anscarici (la quarta che dominava l’Italia del nordovest con quelle sopracitate).

Quindi avrebbe più senso semmai prendere come data di riferimento, se proprio se ne vuole una per convenzione, il 950/51 e non il 967 che è solo una riconferma del possedimento, ma probabilmente l’investitura del feudo Montisferrati ad Aleramo è avvenuta addirittura precedentemente, solo che non abbiamo finora rinvenuta alcuna documentazione in proposito (tra la decina di documenti storici a noi pervenuti che citano Aleramo).

Sappiamo per certo che nel 961 Aleramo era già marchese, ed è l’unica data certa, perché dal punto di vista storiografico la creazione delle marche non forniva automaticamente all’assegnatario della marca il titolo di marchese, in quanto all’epoca re Berengario II le tre marche le aveva istituite (come ho scritto varie volte nei miei testi precedenti), per scopi amministrativi e militari (contrasto alle incursioni saracene ed ungare) e politici, per tenere sotto controllo e subordinate le grandi dinastie baronali, evitando conflitti intestini e rivalità con la casa regnante.

Le marche erano quindi da considerarsi dei distretti pubblici a valenza amministrativa e non erano baronie personali governate unilateralmente e con diritto di successione ereditaria. Solo nei decenni successivi all’istituzione delle tre marche si crearono i feudi, anche di grande estensione ed in forma consortile, che presero il predicato di marchesati e diedero diritto al titolo di marchese per coloro che ne vennero investiti, con diritto ereditario.

Dal punto di vista strettamente storico, a proposito del marchesato di Monferrato si avrà un primo riferimento storico documentale soltanto nel 1111 con riferimento a Ranieri, Raynerius del Monteferrato Marchio (in un atto del marchese di Biandrate del 1111, Sutri, 23 marzo), che pertanto storiograficamente ed “ufficialmente” potrebbe risultare il primo marchese di Monferrato (anche se probabilmente già i suoi predecessori Guglielmo IV e forse Oddone II che governarono nella seconda metà dell’XI secolo lo erano, secondo alcuni autorevoli storici accademici locali).

Uso il condizionale perché altri storici autorevoli traducono ed interpretano (a mio avviso correttamente) la citazione come “Ranieri di Monferrato” marchese, quindi lo identifica senza ombra di dubbio come dinastia ma il predicato di marchese non è specificatamente riferito al Monferrato, quindi non può essere indubitabilmente definito marchese di Monferrato, ma genericamente marchese, analogamente a quanto avvenne decine di volte nei secoli successivi, quando a fianco del marchese reggente c’erano fratelli e/o figli che avevano il titolo di marchesi ma non erano propriamente “marchesi di Monferrato”, perché non erano loro a governare.

Per non avere più alcun dubbio dobbiamo attendere qualche anno (per l’esattezza tre anni dopo la morte di Ranieri, avvenuta nel 1137), infatti la prima attestazione attendibile del vero e proprio titolo di marchese di Monferrato (“marchio Montisferrati”) compare per la prima volta in una bolla lateranense di papa Innocenzo II del 3 marzo 1140 facente sempre riferimento a Ranieri, che lo cita postumo. Confermando pertanto senza alcun dubbio che al tempo di Ranieri il marchesato di Monferrato esisteva già da tempo e lui ne era il marchese al governo.

Se vogliamo fare a gara nel retrodatare la nascita del Monferrato, allora perché non fare riferimento al primo documento in cui si cita Aleramo (allora ancora solo conte) che risale al 933 ad opera dei co-regnanti re Ugo e Lotario II nella capitale Pavia? Si tratta del famoso documento in cui si assegna al conte Aleramo la corte di Auriola nel trinese (VC), che per molto tempo la si considerò come il primo insediamento aleramico.

L’ipotesi o congettura è tutt’altro che peregrina, considerando che le ultime interpretazioni del significato e della localizzazione dell’originario “Monferrato” (scartate le decine di interpretazioni etimologiche e fantasiose precedenti, quasi tutte ormai obsolete e screditate, che fanno riferimento a varie congetture, dal leggendario mattone usato da Aleramo per ferrare il cavallo, alla presenza di ferro o di farro, alla “fara” longobarda, alla feracità del luogo, o all’imposizione di toponimi dai luoghi di provenienza franca della dinastia, ecc.), che fanno soprattutto riferimento alla toponomastica comparata tra varie regioni europee, etimologicamente potrebbe suggerire come localizzazione un “monte fortificato” che alcuni autori identificherebbero, in seguito ad avvenuti scavi archeologici, nella collina (Bric) di San Vito a Pecetto Torinese ed altri più recentemente a Pecetto di Valenza.

L’ipotesi sarebbe altresì avvalorata dall’accertata circostanza che gli aleramici sono da sempre riconosciuti come marchesi itineranti, con la loro corte lo furono fino alla definitiva localizzazione stabile nel Castello di Casale nel 1435, quando ne fecero la prima ed unica capitale del loro stato di marchionale, mentre in precedenza e per secoli stanziarono in quelle che potrebbero correttamente definirsi Sedi Marchionali provvisorie, secondo la stagione e le esigenze politiche, tra le quali le principali furono Chivasso, Trino, Alba, Acqui, Moncalvo e Pontestura ed Occimiano.

Non stupirebbe pertanto che uno dei loro primi insediamenti fortificati fosse a Pecetto Torinese o Pecetto di Valenza (avendo feudi in entrambe le località) e che prendesse il nome di Montisferrati, cioè monte munito, fortificato. Quindi non abbiamo alcuna certezza su dove si debba collocare il primo ed originario Monferrato e neppure cosa esattamente significasse etimologicamente. Da questo inventarsi celebrazioni, datazioni, collocazioni, ecc., è puro esercizio ludico speculativo che non ha nulla a che vedere con la Storia.

Seconda considerazione: quelle citate nel diploma di Ottone nel 967 erano semplicemente dei feudi, cioè località delimitate e con pochissimi abitanti, e quindi non avrebbe alcun senso prendere come riferimento della nascita di uno stato un elemento così poco consistente, e che probabilmente gli era stato assegnato in feudo anche prima del 950. Inoltre sappiamo da altri documenti (come già detto sono una decina finora i documenti storici prevenutici che citano Aleramo e vanno dal 933 al 967) che nel 961 Aleramo era già marchese (creato da Berengario d’Ivrea), quindi disponeva di vasta autorità su una moltitudini di territori, ed il Monferrato era solo uno delle decine e decine di corti e comitati in suo possesso, nessuno stato nascente quindi, ed inoltre la stragrande maggioranza dei suoi possedimenti derivavano dalla sua prima e sconosciuta moglie (sicuramente molto facoltosa) oppure dalla seconda, Gerberga, “non a caso” figlia dell’imperatore Berengario … Altroché indomito cavaliere eroe di tante battaglie, sgominatore di saraceni, ecc.. La sua fortuna è prevalentemente attribuibile all’abilità politico diplomatica di barcamenarsi tra i vari re ed imperatori succeduti nel giro di pochi anni, unitamente a cinico opportunismo, doti seduttive ed ottime alleanze matrimoniali e soprattutto patrimoniali e protezioni altolocate.

Mi rendo conto che questa mia asserzione potrebbe essere interpretata come una critica severa, condizionata dalla metrica morale moderna, ma in realtà non lo è, in quanto per l’epoca di riferimento era assolutamente nella norma comportarsi in tal guisa, Aleramo non si discostava dai costumi della sua epoca, era solo più abile di altri suoi parigrado e rivali, e quindi non andrebbe giudicato con i criteri attuali. Semmai la mia è una critica alla faciloneria e superficialità con cui si tende a mitizzare i personaggi storici a fini propagandistici localistici.

L’altro elemento che si correla con quanto ho appena esposto è la famosa cavalcata aleramica, quella compiuta in tre giorni ininterrotti per delimitare i confini del suo feudo, che è vero che più o meno tutti la citano come leggenda, solo che poi ne parlano come fosse veramente avvenuta, esattamente come molti sono convinti che la principessa Alasia fu la prima moglie di Aleramo. In proposito sono parecchi anni, tramite articoli divulgativi, che puntualizzo invano questi temi, e ci sono ancora persone convinte che questa sia la storia vera. Sono pronto a scommettere che se si chiedesse a bruciapelo a qualche residente nel Monferrato chi era la prima moglie del marchese Aleramo, che non sia un individuo agli antipodi, cioè analfabeta funzionale (in tal caso non saprebbe neppure chi era Aleramo) o storico accademico (che sicuramente saprebbe che la prima moglie storicamente è sconosciuta),  la stragrande maggioranza degli interlocutori risponderebbe Alasia, assumendo per storico ciò che riporta la leggenda.

La leggenda di Aleramo nel suo complesso (la famosa cavalcata ininterrotta per tre giorni per infeudare il suo “piccolo regno” con la storia dell’amore per Alasia, con l’intermezzo da carbonaio appenninico e gli indomiti combattimenti sotto mentite spoglie fino ad assurgere alla gloria), di cui esistono diverse varianti, è nata su commissione marchionale nel Tardo Medioevo, periodo nel quale quasi tutte le dinastie sovrane e baronali sentivano il bisogno di ricostruirsi un passato degno del rango raggiunto, che ne legittimasse moralmente l’autorità e quindi si dovevano inventare gesta eroiche ed origini regali e mitiche.

Fu in proposito incaricato il cronista e frate Jacopo “Bellingeri” da Acqui (si nutrono dubbi sulla sua appartenenza alla prestigiosa famiglia dei Bellingeri, per cui ho preferito virgolettare) cui si dedicò attorno tra il 1330/34, in età che si presume fosse molto avanzata, peraltro attingendo alle innumerevoli e simili leggende già diffuse in tutto il continente, senza particolare fantasia aggiuntiva (infatti la leggenda di Aleramo non viene neppure citata in un libro specialistico in mio possesso che riporta le principali leggende dinastiche europee). Poi proseguirono nella diffusione della leggenda altri personaggi, anche loro quasi tutti monaci e cronachisti (cronisti dell’epoca), tra i quali Galvano Fiamma che era contemporaneo del Bellingeri, Giovanni Mussi, Tommaso di Saluzzo,  Jacopo Filippi de Foresti (tra la seconda metà del XV ed il primo quarto del XVI secolo), fino al più recente Giosuè Carducci. Nell’ottocento in pieno romanticismo, come ben sappiamo, la Storia fu stravolta, manipolata, prostrata ai propri fini, ricorrendo anche a falsificazioni e divulgazioni menzognere, frutto di pura fantasia. Per cui evito di dedicarmici.

Dei due figli superstiti di Aleramo, da Oddone discesero le due dinastie marchionali “oddoniane” dei Di Monferrato e di Occimiano (di breve durata, poi sottomessosi ai Di Monferrato), mentre dal figlio Anselmo discesero le numerose casate “anselmiane” che si infeudarono nel sud Piemonte ed in Liguria, i Sezzé (Sezzadio), gli Incisa, i Bosco, i Ponzone, e soprattutto i Del Vasto detti anche Del Guasto, la più potente dinastia aleramica con quella dei Di Monferrato, che dapprima in forma consortile e poi separatamente diedero vita ai marchesi di Saluzzo, i Lancia-Busca (dai quali discesero i Lancia – Lanza che colonizzarono la Sicilia ai tempi degli Altavilla, imparentandosi con essi e dando vita al re Ruggiero II, che per metà era di sangue aleramico), i Ceva-Clavesana, i Carretto-Savona, i Cortemilia-Loreto.

Dei marchesi aleramici citati sono sopravvissuti fino ai giorni nostri alcuni rappresentanti dei Lanza (che si trasferirono in Sicilia divenendo Pari del Regno), dei Carretto che governarono vaste porzioni liguri da Ventimiglia fino alla Valle Bormida), dei Ponzone attualmente dotati del solo titolo comitale e non più marchionale, ed alcuni rami minori degli Incisa.

I Di Monferrato si estinsero nel 1305 con l’ultimo marchese Giovanni I, cui succedette per volontà testamentaria Teodoro, un principe bizantino della dinastia imperiale dei Paleologo, figlio della basilissa Jolanda di Monferrato, sposa dell’imperatore Andronico II, che diede inizio alla dinastia dei Paleologo di Monferrato, perdurante fino al 1533. Dopodiché subentrarono i Gonzaga di Mantova, per volontà dell’Imperatore del Sacro Romano Impero d’intesa con la principessa francese Anna d’Alençon (della dinastia reale dei Valois  Alençon), allora reggente del Monferrato dopo la morte del marito Guglielmo IX. Con i Gonzaga il Monferrato divenne ducato per volontà dell’imperatore Massimiliano II. Estintisi anch’essi nel 1627 subentrarono infine i Gonzaga del ramo francese dei Nevers, fino al 1708, quando i Savoia, che da sempre ambivano al possesso del Monferrato, lo inglobarono nel loro nascente regno.

Pertanto il Monferrato ebbe una durata plurisecolare e si intrecciò con la storia di decine di altri stati e dinastie, come ben pochi stati preunitari possono vantare. Pur non potendo essere certi del momento e del luogo delle sue origini, la sua importanza storica è incontrovertibile.

 

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