Un altro grande mito e genio della musica si ha lasciati. Franco Battiato si esibì a Casale come prova generale del suo “Gommalacca Tour ‘99” ispirato al suo ultimo album, appunto “Gommalacca” che raggiunse in quel periodo la prima posizione in classifica.
Era il 6 giugno 1999 e tre giorni dopo a Milano iniziò ufficialmente il tour che lo vide interprete in tutta Italia. Il concerto ebbe luogo a Casale al “PalaFerraris” con una suggestiva scenografia.
Fu una stagione spettacolistica molto fertile che si sviluppò in città tra il 1996 ed il 2000, sotto la gestione di Federgest srl che avvio e gesti i primi anni del palasport. Come Amministratore Delegato della società, mi sento in dovere di ricordare, che al di la di importanti manifestazioni sportive, ebbero luogo eventi musicali di rilevante successo (ma questo è un altro discorso).
Ma tornando a Franco Battiato, lo vogliamo ricordare con un’interessante e curiosa recensione che scrisse il critico musicale, Marco Mangiarotti.
ANTEPRIMA TOUR GOMMALACCA A CASALE MONFERRATO
Riuscita anteprima del «Gommalacca Tour ’99» che debutterà ufficialmente domani sera a Milano La genialità creativa di Franco Battiato in uno show che è anche divertimento
CASALE MONFERRATO – È stata una prova generale «vera», nel piccolo palazzetto di Casale. Davanti a un pubblico di grande passione. Per affrontare l’ultima prova aperta, prima della prima ufficiale di domani sera al Filaforum di Milano, senza tensioni. Come se il «Gommalacca Tour ’99» di Franco Battiato fosse volato nel paese di Lilliput: una tangenziale di mezzo chilometro, il parcheggio in mezzo la campagna, una palestra come camerino per l’artista. Solo il palco era a grandezza naturale, in una metafora (la prima) del golfo mistico. In una sintesi tra pop e teatro d’opera. Il risultato è semplicemente geniale: lui che canta sdraiato, gambe accavallate, sul letto. Come una diva (Marlene) o un nobile russo (Oblomov). Di profilo. Una scena vuota, lo spazio chiuso da due quinte mobili (tulle che scendono mosse dai computer) che sono veli, schermi e lavagne per la grafica delle luci di Billy Bigliardi, per la scenografia di Luca Volpatti. Per le grandi immagini di Paolo Gualdi e la regia dello stesso Franco Battiato. Lo spettacolo è anche divertimento, con i quattro cambi d’abito per Franco (dallo spolverino al costume bianco dei dervishi rotanti). Con la parodia intelligente delle macchine di Luca Ronconi: il «filosofo rapper» Manlio Sgalambro che attraversa il palco su una poltrona (a rotelle) ha un effetto grottesco irresistibile, quando si parla di «Fornicazione», «Nietzche» e «Suicidio». Eroico, invece, quando sta al timone della barca che solca la scena in «Schackleton». Se un carro viene trascinato dalla fatica di un uomo, è l’allegoria dei fardelli della vita. Tutto scorre su un tapis rulant, come in un tour di Peter Gabriel. Ruotano sugli schermi le «volvelle» di metà Ottocento, tavole illustrate con cui si calcolavano le traiettorie delle comete, affollate di segni matematici e pianeti paffuti, soli fiammeggianti e i fornicanti d’Oriente. Le quinte tagliano gigantografie della Callas in «Casta diva». Il volto dipinto di un aborigeno australiano ruota lento e inesorabile, come il destino dei popoli del mondo. Altre volte è vitazione testuale, come il mare verticale, la sdraio e l’ombrellone di «Summer on a Solitary Beach». Commento di Franco: «C’è la sdraio, ma il mare è finto. E si vede…». La musica è rock, con Pancaldi (ex «Bluvertigo») alle chitarre, rocce di suoni, energia e paranoia giovanile diluita in un mare di tastiere. Molto anni ’70, come una parte delle luci, delle citazioni e delle scene. «D’altronde – osserva Battiato – chi faceva ricerca ha già dato tutto allora. Per questo è normale e per nulla imbarazzante autocitarsi». Lui occupa, con le incursioni a viva voce di Sgalambro, la scena. Usa due microfoni, un pedale con effetti echo, distorsore, wah wah, ritardo e lo sdoppiamento (in basso) d’ottava. L’esplosione anche grafica, dei bianchi, lo proietta in una dimensione post-optical, nella Londra di Michelangelo Antonioni e «Blow Up». È un percorso tra divertimento, viaggio interiore e nevrosi, con un 45 giri del ’70 («La conversione» e «Paranoia»). Il popolo di Internet ha chiesto «Stage Door» (dal singolo «Shock in My Town»). La complessità di «Il mantello e la spiga» non consente più di due mezzi giri al derviscio Battiato, «Il ballo del potere» introduce al meglio di «Gommalacca». «Vite parallele», «Quello che fu», «Strani giorni». «La cura» sono tappe di un pensiero nobile e mobile. L’unico elemento immobile è una tastiera, alla sinistra dell’artista. Nella seconda prevale, con troppi sintetizzatori sotto, il gioco della memoria: «E ti vengo a cercare», «La stagione dell’amore», «Voglio vederti danzare». Il bis è divertimento puro, dall’«Era del cinghiale bianco» e «Bandiera bianca» a «Cuccurucuccu» e «Centro di gravità permanente». «Da Festivalbar», chiosa ironico Franco, che riceve poi in palestra. «È mancata, in qualche canzone, la danzatrice e coreografa Li Rong Mei. Ma ci sarà a Milano». Conferma che consegnerà per il Giubileo un lavoro sul «multilinguismo di Babilonia, inteso come cittadinanza comune» all’Opera di Roma. «La caduta e la distruzione di Troia» sarà pronta invece tra due anni». Della guerra in Kosovo dice «che è uguale a tutte le guerre: il sangue è sangue. Sempre. Ma non sono solo contro il dittatore, perché ad ammazzare sono altri». Il tour dei palasport, dopo domani sera a Milano, prosegue il 10 a Pesaro, il 13 a Bologna, il 16 a Perugia, il 17 a Pescara, il 19 a Roma, il 22 a Genova, il 24 a Brescia, il 27 a Firenze.
Marco Mangiarotti