GIANNI TURINO “PARVE UOMO D’ALTRI TEMPI”

  • Autore dell'articolo:
  • Commenti dell'articolo:0 commenti

A una settimana dalla scomparsa del nostro amato Direttore Gianni Turino, pubblichiamo un suo scritto che è confacente con ciò che era la sua persona. Vogliamo ringraziarlo di tutto ciò che ha fatto per noi e per la nostra associazione. Grazie Gianni, non ti dimenticheremo mai!

***

GIOVANNI LANZA – PARVE UOMO D’ALTRI TEMPI

Fu Presidente del Consiglio, Presidente della Camera, Ministro delle finanze, Ministro della pubblica istruzione, Ministro dell’interno. Morì in povertà in un albergo di terz’ordine a Roma mentre seguiva i lavori parlamentari.
Il giorno dei morti, 2 novembre, un tempo a scuola era vacanza. Ma il Maestro Cattaneo non l’utilizzava per qualche “ponte” che unisse il giorno dei santi al 4 novembre (festa della Vittoria, aimè ora svilita e quasi ignota alle giovani generazioni), ma ci convocava alle nove del mattino in classe e, in fila per due, ci accompagnava al Camposanto (signor Maestro, l’ho scritto maiuscolo… Camposanto…) Perché “A egregie cose il forte animo accendono/ l’urne de’ forti, (o Pindemonte lo saltava perché inutile e troppo lungo da spiegare) / e bella /e santa fanno al peregrin la terra / che le ricetta…”
“Perché vedete, bambini, qui il Poeta dice che ‘Le tombe’ e quindi il ricordo dei grandi spingono a nobili imprese gli animi generosi e rendono al giudizio del forestiero bella e santa la terra che le contiene…” Imparammo a conoscere così Foscolo e la sacralità del “ricordo”.
Ci faceva sostare, quindi, nel campo dei caduti in guerra (“Vedete sono fratelli, morti per noi, spesso senza capire il perché del loro sacrificio e questo li rende ancora più grandi, di ogni parte d’Italia”) e davanti alla tomba di Giovanni Lanza il più illustre cittadino casalese degli ultimi secoli.
La tomba del grande uomo di stato brillava per il suo abbandono; il Maestro acquistava nell’orto adiacente all’entrata del cimitero, un mazzo di crisantemi e lo depositava ai piedi della lapide… E sospirava.

***

Presidente del Consiglio, Presidente della Camera più volte ministro, Lanza rese obbligatoria, da responsabile della pubblica istruzione la scuola almeno fino alla licenza di terza elementare… (creando una fortissima opposizione del clero – che rivendicava l’esclusività della scuola – e degli ambienti aristocratici e professionali, grandi proprietari, che vedevano, cinicamente, ma giustamente, nell’alfabetizzazione del popolo una minaccia al loro potere) e soprattutto è stato l’uomo che ha ridato, Roma all’Italia: era il 20 settembre 1870…”.

***

Da allora, quando vado al Camposanto a far quattro chiacchiere con i miei cari, mi raccolgo sempre sul campo dei lontani fratelli morti “anche per me”, e davanti alla tomba di Lanza.

Nato a Casale nel 1810 in una casa dell’attuale Largo Lanza che lo ricorda con una lapide, era medico. Disinteressato e generoso al limite dell’autolesionismo, era sempre pronto ad accorrere, gratis, anche in situazioni di epidemie infettive, laddove la povera gente fosse in difficoltà.
«Era un uomo che incarnava – scrisse di lui Indro Montanelli – nella Destra piemontese (in realtà era nella sinistra moderata) tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell’Università popolare»
Era di un‘onestà rigorosa ed esemplare che stupiva anche i contemporanei. Sulla lapide in sua memoria che lo ricorda nel municipio di Casale tre anni dopo la morte, è scritto “PARVE UOMO D’ALTRI TEMPI”

***

Portata la capitale a Roma, Lanza – che si pagava di tasca sua tutte le spese, per risparmiare sull’albergo, viaggiava in treno di notte e il pisolino all’arrivo la faceva al bagno diurno della stazione di Roma mentre il barbiere lo sbarbava.
Celebre il telegramma che inviò alla moglie (era presidente del Consiglio… fare raffronto con oggi tanto per farsene un’idea)
“Vendi una vacca (avevano tenuta a Roncaglia) e fammi un vaglia di 50 lire perché altrimenti non posso tornare: ho finito i quattrini e non posso pagare l’albergo…”.
Qualche tempo dopo la sua morte, re Umberto I venne a sapere che Clementina era l’unica vedova degli italiani col collare della Santissima Annunziata a non ricevere il vitalizio che le competeva.
Ma lei lo rifiutò “No grazie – rispose lei – mai mio marito aveva chiesto denaro a Sua Maestà e mai avrebbe permesso a lei di chiederne”.
Il re, sbalordito ed ammirato, commentò “… Straordinario…, ma è, come il marito, una mosca bianca…”
E venne a Roncaglia per conoscerla.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.