Giorni della merla del 1951- QUEL PRIMO FESTIVAL DI SAN REMO

Fra tutti gli altri li ho riconosciuti- Con l’occhio magico della radio fisso ed immobile, gli uomini che giocano a carte e le donne, attorno alla stufa, fan di maglia mentre io, fingendo di studiare, leggo i “tre moschettieri”

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“Rai, Radio Audizioni Italiane, rete azzurra… Sono le ore 22 e quattro minuti primi, segnale orario dell’Istituto Galileo Ferraris di Torino… dal Salone degli spettacoli del casinò di San Remo, va in onda la serata finale della prima edizione del Festival della Canzone Italiana… orchestra diretta dal Maestro Cinico Angelini…”.

L’occhio magico della Everest a cinque valvole, comprata da mio padre a rate mensili di quattrocentoventicinque lire da Verzetti, stringeva ed allargava le sue pupille verdi. 
Era l’ultimo giorno della merla del 1951; i campi erano sepolti dalla neve e di sera si vedeva come di giorno; il gelo aveva bloccato le condutture dell’acqua ed i fili della luce vibravano per la galaverna; i salamini di segatura, schiacciati sotto le filure delle finestre e delle porte combattevano una battaglia impari con l’aria che si insinuava a sciabolate gelide e radenti che ti costringevano, in casa, a tenere i piedi sulle traversine delle sedie; sul Po, ghiacciato, passavano i carri della pregiata ditta di ippotrasporti Vigino, che facevano la spola fra le cementerie del Ronzone di Casale con quelle di Morano e di Trino (“E’ una bella comodità questo ghiaccio  – commentava il carrettiere Jaku – ti evita di fare tutto il giro del Ponte…”; e, con il tempo risparmiato poteva consentirsi due fermate in più al Betulin per sgelarsi la gola…). 
In semicerchio attorno alla stufa arroventata, sferruzzavano a maglia mia mamma, la Carmelina “la pliseira, mentre la Duina e l’Ernesta moglie del placido Caldu, detto anche “santadeigenetri”, impegnatissimo a seguire da dietro il tavolo lo scopone nel quale erano completamente assorbiti mio padre, in coppia con il vecchio Cichin Bagian, contro il Mario Artuffo, imbianchino, detto Ciuffo ed il Renato Bagian.

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Io ero accovacciato sul sofà e fingevo di studiare dicendo ogni tanto con voce ispirata e gli occhi rovesciati al soffitto “Della sfera il volume qual è?: quattro terzi, Pi greca erre tre…) In realtà accuratamente (?!?…) mimetizzata fra le pagine del sussidiario di quinta leggevo l’edizione integrale dei “Tre moschettieri”. Se le donne avessero intuito che io, anziché studiare, leggevo, mi avrebbero accalappiato e costretto a puntare i gomiti sul tavolo tenendo le braccia parallele verso l’alto per avvolgere la lana che sfilacciavano da vecchie calze, mutande , corpetti…; una prospettiva da non augurare nemmeno ad un cane… (da quei “recuperi” di lana dai diversi colori nascevano straordinarie maglie, calze e corpetti antesignani dei “Missoni”).
Come la radio annunciò “… diretta dal Maestro Cinico Angelini” le donne intonarono all’unisono ed a gran voce, come se si fossero passate parola, “… C’è una chiesetta, amor… nascosta in mezzo ai fior… ” che di quell’orchestra era la celeberrima sigla.
«Campassero cent’anni sbottò il Cichin Bagian mordendosi di taglio la mano destra come per soffocare la rabbia campassero mill’anni, le donne non riuscirebbero a capire che quando si gioca a scopa il silenzio deve essere di tomba (il Cichin era incavolatissimo con mio padre perché non gli aveva risposto sul fante; ma sarebbe bastato osservare il ghigno silenzioso e soddisfatto del Mario Ciuffo per capire che gli altri due fanti li aveva in mano lui…).
Intanto anche la radio lanciò le note della sigla di Angelini mentre l’annunciatore chiudeva alla grande la sua parte: “… Presenta: … Nunzio Filogamo…”. 
“Miei cari amici vicini e lontani, buona sera… buona sera ovunque voi siate … (“… Belle parole…” disse qualcuno attorno al tavolo; ed il Caldu: ” … Eh, bene … santadeigenetri, non sono mica zucche come noi! È gente fine che ha fatto le scuole alte…!” “… Zucca sarai tu!” bofonchiò il Cichin Bagian irritatissimo perché stava ballando con le carte per non dare scopa… che invece venne, anzi vennero…)

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Apriva e chiudeva sempre così il re dei presentatori Nunzio Filogamo; fine dicitore, acrobata dell’arzigogolo, perennemente alla ricerca della parola inusuale ma corretta, le sue frasi erano piene di incisi come madrigali medioevali; i fiori non profumavano ma olezzavano, l’aria accarezzava, la luna pitturava il cielo di luce soffusa e le onde del mare sciabordavano sul bagnasciuga…; le tamerici, ovviamente, erano “salmastre ed arse” …; la sua frase più stringata, aveva la rigida linearità dell’arabesco…
La fece lunga, Filogamo, ma piaceva, sul termine “canzone”; tirò in ballo Dante, Petrarca, Guinizzelli, i trovatori ed anche Omero “ che era cieco ma vedeva con le parole e con la cetra… come il Maestro Seracini autore della prima canzone in gara nella serata finale che vi sarà presentata a voi amici seduti qui in sala attorno ai tavoli imbandíti del ristorante ed agli ascoltatori lontani che forse hanno già consumata la loro parca cena (“Parca sarà tua sorella!” commentò il sempre più irritato Cichin Bagian … ) … che vi sarà presentata con la sua voce vellutata e calda, dolce e suadente dalla giovane e graziosa… Nilla Pizzi …

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“Ah c’è la Pizzi…”, disse mia mamma fingendo sorpresa (in realtà aveva già seguito alla radio le altre due serate); e la Carmelina “Certo, e c’è anche Togliani…”. “Bel fió!…” interruppe l’Ernesta. ” … Togliani e il duo Fasano…” concluse la Carmelina.
La Duina, che era la moglie del Cichin e voleva dire la sua, chiese: “Cantano anche Piemontesina?”. Attimo di sorpreso silenzio; e poi: ” Ma Duina, sono tutte canzoni nuove di zecca!”; “Inedite” precisò il Caldu, che con gli occhi seguiva lo scopone ma con le orecchie non si era persa una parola delle spiegazioni di Filogamo. Questo vocabolo pronunciato dal Caldu cadde come un macigno cogliendo tutti in contropiede; anch’io cessai di leggere i «Tre moschettieri”. 
“Cosa vuol dire ‘sta parola …?” si informò il Renato Bagian interpretando il pensiero generale. “Vuol dire, vuol dire… santadeigenitri, che le canzoni… del resto, santadeigenetri, se lo ha detto l’altro ieri Filogamo che quando parla sa quello che dice …”.
“E’ il momento tanto agognato sussurrava intanto Filogamo …il giorno in cui la fanciulla, la “puella”, corona i suoi sogni e diventa donna, sposa, madre… Nella stanza dove le amiche la stanno preparando per la cerimonia nuziale, ci sono fiori, tanti fiori… ma c’è un “bouquet” che le blocca il cuore e poi lo fa palpitare forsennatamente; gli occhi della sposa si irrigidiscono… si inumidiscono ed una lacrima si fa strada lentamente fra le ciglia… rose rosse, che parlano di un amore lontano, finito, ma forse ancora ben radicato nel cuore …”.

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“Di’ quello che vuoi … ma parla bene… disse la Carmelina, che era “tota”, rovesciando gli occhi e lasciando cadere a terra gli aghi della maglia… parla proprio bene… che parole …! “.
” … Grazie dei fior del maestro Seracini… ve la porge… Nilla Pizzi …”
“Cos’è che porge … ?” si informò il Cichin Bagian.
La “mano” di scopa era finita e tutto era pronto per l’armangia; ma il mazziere non distribuiva le carte, e nessuno lo sollecitava, teso come lo erano tutti anche se non l’avrebbero mai ammesso a seguire la trasmissione.
Attacca l’orchestra con poche note soffuse; poi… “…Tanti … fiori / in questo giorno lieto ho ricevuto… / … rose, rose… ma le più belle / le hai mandate tu…”
(Deve ancora sposarsi e pensa già a far corna…” commentò sottovoce il Cichin … ).
“… Grazie dei fior… fra tutti gli altri / li ho riconosciuti … / mi han fatto male eppure li ho graditi …/ son rose rosse… parlano d’amor … 
(“Allora non farla più tanto lunga che quel tapino dello sposo e dietro la schiena il Cichin completava il suo pensiero chiudendo, della mano destra, il medio e l’anulare stretti dal pollice ed allungando l’indice ed il mignolo prende freddo fuori della chiesa…). “

“ … E grazie ancor.. / se in questo giorno/ tu mi hai ricordato / ma se l’amore nostro si è perduto / perché vuoi tormentare / il nostro cuor…/”
“Che solfa!…” mugugnò a denti stretti il Cichin mentre con un quattro e tre sette sparigliava il sette bello al mazziere
“…In mezzo a quelle rose / ci sono tante spine / memorie dolorose / … di chi ha voluto bene… / son pagine già chiuse… / con la parola… fine … /”

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“Povra masnà…si sente che soffre! Questo matrimonio glielo ha imposto la famiglia… ” disse la Duina asciugandosi gli occhi; ”…matrimonio di interesse…-aggiunse sotto voce scuotendo il capo e tirando in su con il naso- povra masna!…” ed il Cichin inalberandosi come se stesse commentando una carta mal giocata; “Come: povra masnà! Ma questa doveva solo sposare il suo bello; invece attacca il cappello al chiodo… sono lacrime di coccodrillo!”.
«Oh, santadeigenitri …cercò di intervenire il Caldu. “Santadeigenitri tua zia… ribatté il Cichin, che continuò infervorato Io, la mia Duina, che pure c’era un sacco di gente con fieno e paglia che le faceva la ronda, ha scelto me, il Cichin, anche se ero patan come un verme ed avevo solo le mie manacce per lavorare… nemmeno la testa avevo perché quella rintronava, come la macchina per trebbiare il grano, giorno e notte e diceva … Duina… Duina». Alla Duina si inumidirono tutti e due gli occhi, anzi, si allagarono. “E’ il fumo della stufa -disse asciugandosi con il fazzoletto e cercando di coprire il tutto con qualche colpo di tosse- è il fumo». «Legna verde», l’aiutò mia mamma.

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Fino a quel momento avevo sempre visto la Duina così com’era, con i suoi anni, senza denti e per questo le si era formata la basea alla Scalfaro; vedevo le rughe, il naso sporgente sul viso tirato e affaticato, le spalle curve, gli occhi appannati e stanchi, i capelli bianchi e radi attraverso i quali si intuiva il luccichio della plata e non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello che fosse stata giovane e graziosa in mezzo ai covoni di grano o mentre usciva dalla messa con l’abitino della festa ed i ragazzi le facevano il filo; non potevo nemmeno immaginare che qualcuno avesse potuto perdere il sonno per lei.
Le parole del Cichin, che sapeva a male pena fare una ‘0’ con un bicchiere ma che, a ben pensarci, parlava meglio di Filogamo, caddero come macigni e mi illuminarono. Intuii allora confusamente, e poi il corso degli anni me lo fecero capire razionalmente, che la realtà della vita, del mondo, delle persone, dei luoghi, non è quella che ci appare ma è quella che ci portiamo dentro il cuore e che si porta dentro al cuore chi ci ha conosciuto e voluto bene. La storia dell’uomo, dell’umanità, della persona, non è nei libri, forzatamente aridi e schematici e manipolati dalle ideologie, ma nella memoria che è trasmessa da una generazione all’altra oralmente, con le parole, con i ricordi di piccoli avvenimenti e sensazioni che si scolpiscono nelle menti e nei cuori e non ti abbandoneranno mai; quello che sei stato sei stato e non c’è nessuna ruga, nessun occhio appannato, nessun acciacco, nessuna basea che te lo può portare via. E’ questa la vera, straordinaria ricchezza dell’umanità; il giorno in cui la memoria delle nostre origini e di ciò che fummo sparirà, il mondo sarà senza cuore e sarà la fine.

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Nilla Pizzi stava chiudendo con l’acuto: «Grazie dei fiori…e addio per sempre addio …senza rancor ». 
«Canzone stupida che non sa di niente -dissero gli uomini mentre le donne si raschiavano la gola e gli occhi erano lucidi- non sono più quelle di una volta». «Santadeigenitri -disse il Caldu- vuoi mettere ‘Vipera” o “Come pioveva”?». «Rose rosse per rose rosse aggiunse mio padre come si può paragonarla a “Cuore”, so che vuoi per te / so che vuoi veder / rose di ogni color / ma, le rose rosse,no/
non le voglio veder / non le voglio veder … Queste erano canzoni! ».Il Mario ricordò “Parlami d’amore Mariù” e “Profumi e balocchi” ma il Cichin concluse che la migliore di tutte era sempre “Il cacciatore del bosco”.
«Ed anche “Piemontesina”!» disse timidamente la Duina. «Anche “Piemontesina”.»
Il Renato Bagian non parlava ma stava disegnando sulla carta gialla da macellaio che era servita per segnare i punti uno straordinario mazzo di rose rosse…non ho mai visto in vita mia disegnare come il Renato Bagian.
«Mentre i camerieri servono il dessert passiamo alla seconda canzone …» annunciò Filogamo.
“Lì dentro se la buttano da un’orecchia all’altra disse il Mario chissà che spruzzo il conto!»
“Chi va in quei posti ha il portafogli a bocca di coccodrillo” commentò il Caldu. Con quello che spendono in una sera noi mangiamo, santadeigenetri, sei mesi tutta la famiglia.»

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A parole tutti snobbavano il Festival ma né gli uomini giocarono più a scopa, né le donne sferruzzavano: seguivano e commentavano, sempre negativamente, le canzoni.
«Già che abbiamo fatto trenta facciamo trentuno – disse il Cichin quando la trasmissione chiuse la prima parte, ed era già mezzanotte passata, dando appuntamento a dopo un’ora per la proclamazione dei risultati – boiate per boiate, sentiamo chi ha vinto; tanto per essere presto è tardi e per essere tardi è presto … ».
Nell’attesa parlarono del più e del meno e la Carmelina – che era tutt’ora una gran bella donna – ci tenne a far sapere che aveva «… avuto un sacco di pretendenti, ma senza il grande amore non ci si lega per la vita … » E’ per questo che era rimasta “tota”.

All’una e passa, ormai i “tre moschettieri” erano diventati “quattro”, Nunzio Filogamo lesse i risultati e Nilla Pizzi ricantò “Grazie dei fior…” che aveva vinto.
«L’avevo detto io -commentò il Cichin Bagian che in verità, al proposito, non aveva detto nulla- … l’avevo detto! … Questa Nilla Pizzi può andare a nascondersi al confronto di quella che cantava ‘Vipera”; ” … Anna Faugez ” suggerì mio padre. «Proprio lei; e queste canzoni sono tutte delle gran lagne, emerite stupidaggini nemmeno da paragonare a quelle di una volta. Se ci fosse stata ‘Il Cacciatore del bosco” le avrebbe stracciate tutte … ».

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Mi piacerebbe sentire, dalla nuvola sulla quale certamente stanno seguendo il ‘Festival di San Remo” giocando a scopone, la risata franca e fragorosa del Mario Ciuffo verso mio padre che, con gli occhi sulle carte, scuote la testa sentendo le canzoni del Festival.

Il vecchio Cichin, ma lì forse sono tornati giovani, chiude buttando le carte sul tavolo. 
«Queste canzoni sono tutte delle grandi lagne e delle emerite stupidaggini nemmeno da paragonare a quelle dei “festival” di una volta…e non parliamo dei cantanti… 
Se ci fosse stata la Nilla Pizzi con “Grazie dei Fior…” le avrebbe stracciate tutte… ».

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