“Antimafia, Ambiente, Donne” questo è il principio fondamentale che indirizza le progettualità del presidio studentesco di Libera Casale Monferrato intitolato a Roberto Mancini; un esperimento che insieme ai presidi di tutta Italia cerca di svegliare le coscienze civili, di far maturare una partecipazione democratica e di sensibilizzare sulla Responsabilità partendo da una grande opera educativa e culturale. Motore dell’impegno di Roberto nei confronti della giustizia sociale, dalle barricate degli anni ‘70 alla trincea della “Terra dei fuochi”, sono stati i suoi ideali che l’hanno accompagnato in tutte le scelte di vita. Trasferitosi nel 1986 alla Criminalpol nella sezione anticamorra, in seguito ad aver condotto le indagini fino al basso Lazio, il poliziotto ha iniziato i suoi primi lavori di indagine sul clan dei Casalesi e il disastro ambientale causato dai loro traffici illeciti. Difatti in aree in cui si è coltivato, si sono allevati animali, gli sversamenti di rifiuti tossici avvenivano a 20 metri di profondità ed è stata proprio la squadra creata da Roberto Mancini a recarsi sul suolo avvelenato per scavare con le proprie mani. Attraverso intercettazioni, pedinamenti e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, la documentazione raccolta da Mancini svela nel dettaglio i nomi delle aziende del nord coinvolte nel traffico illecito; descrive i rapporti tra camorra, massoneria e politica; anticipa quel sistema criminale che ha portato al biocidio della “Terra dei fuochi”. In quelle carte dei primi anni ‘90 c’era già tutto il sistema svelato dalle inchieste del 2000. Dopo una lunga battaglia Roberto Mancini è mancato all’ospedale di Perugia il 30 aprile del 2014, a causa di un Linfoma non-Hodgkin, cancro al sangue, conseguenza dei veleni respirati in anni di lavoro tra rifiuti tossici e radioattivi ed in seguito a settembre dello stesso anno gli è stato riconosciuto lo status di “vittima del dovere”, che certifica la connessione tra il servizio prestato e la malattia che lo ha condotto alla morte. Roberto è manifesto di una storia che per conseguenze sui lavoratori, sui cittadini e sull’ambiente ha somiglianze di fondo con la vicenda Eternit di cui Casale è stata protagonista, ragione per la quale è stato deciso di dedicare a lui il presidio del nostro territorio. Oltre all’inchiesta del poliziotto, altra validissima dimostrazione del fatto che al nord la mafia esiste, è che il Piemonte è uno dei territori maggiormente interessati dal radicamento della ‘ndrangheta’, che è decennale e diffuso in tutte le province. Cartina tornasole di questa storica presenza malavitosa è l’alto numero di beni confiscati agli affiliati; una delle battaglie basilari di Libera, che con la sua nascita nel 1995 ha lanciato la prima campagna nazionale con una raccolta firme per un disegno di legge che potesse aggiungere il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie alla norma Rognoni-La Torre. L’associazione non gestisce direttamente i beni confiscati, ma promuove interventi formativi e di progettazione partecipata utili a renderli risorse in grado di innescare processi di sviluppo locale e accrescere la coesione sociale. È interessante sapere che nella nostra città abbiamo un bene confiscato, anche se poco noto. Non bisogna dunque banalizzare questi dati, i segnali sono ben evidenti. L’antimafia non deve tradursi per forza in gesti eccezionali, già acquisire queste consapevolezze è fondamentale per il contrasto alla criminalità organizzata e alla corruzione. Le mafie, senza la cortina di cecità e indifferenza di cui spesso le si circonda, non sarebbero così ricche e potenti. Ognuno di noi cittadini deve e può fare qualcosa. Infatti come diceva Michela Murgia: “La responsabilità è un carico etico collettivo, perché le regole che seguiamo ogni giorno reggono la disuguaglianza che viviamo, anche se in misura diversa, la responsabilità te la assumi se pensi che quelle conseguenze ti riguardano e tu possa fare qualcosa per modificare in meglio”. D’altronde a cosa serve avere le mani pulite, se si tengono in tasca?
Alice Russo