Da parecchio ormai si parla della riattivazione delle linee ferroviarie Casale-Vercelli e Casale-Mortara in funzione anche finalità Milano, che sembrano imminenti o quasi, e magari della sicuramente molto rilevante Asti -Casale. Il tutto è sempre rinviato, con motivazioni che è difficile comprendere, si spera non alle Kalendas graecas? Le calende greche in Roma non v’erano e dunque la frase, quando detta, significava un rinvio infinito e cioè praticamente ‘mai’.
Giovanni Visconti Venosta (da ricordi di gioventù 1847-1960, edizioni Ricordi) scrisse la scherzosa poesiola: LA BALLATA DEL PRODE ANSELMO che inizia: “Passa un giorno passa l’altro, mai non torna il prode Anselmo, perché era molto scaltro, andò in guerra e mise l’elmo…” Il prode Anselmo andò in Palestina al tempo del Sultano, e più non tornò. Ecco, speriamo che i rinvii non siano alle calende greche, e che il ritorno delle linee avvenga e presto.
Lo scrittore francese Jean de Santeuil, ricollegandosi a detti di letterati latini, formulò la famosa frase “Castigat ridendo mores” il che significa correggere, bonariamente e ironicamente, il modo di vivere, di agire, di comportarsi, di parlare, etc.,etc.,etc. Quinto Orazio Flacco scrisse “Ridentem dicere verum: quid vetat?” Cosa vieta di dire il vero ridendo, scherzando?
Una qualche attinenza con quanto sopra espresso, potrebbe esserci.
LA BALLATA DEL PRODE ANSELMO
Passa un giorno, passa l’altro
Mai non torna il prode Anselmo,
Perché egli era molto scaltro
Andò in guerra e mise l’elmo…
Mise l’elmo sulla testa
Per non farsi troppo mal
E partì la lancia in resta
A cavallo d’un caval.
La sua bella che abbracciollo
Gli dié un bacio e disse: Va!
E poneagli ad armacollo
La fiaschetta del mistrà.
Poi, donatogli un anello
Sacro pegno di sua fe’,
Gli metteva nel fardello
Fin le pezze per i pié.
Fu alle nove di mattina
Che l’Anselmo uscia bel, bel,
Per andar in Palestina
A conquidere l’Avel.
Né per vie ferrate andava
Come in oggi col vapor,
A quei tempi si ferrava
Non la via ma il viaggiator,
La cravatta in fer battuto
E in ottone avea il gilé,
Ei viaggiava, è ver, seduto
Ma il cavallo andava a pié,
Da quel dì non fe’ che andare.
Andar sempre, andare, andar…
Quando a pié d’un casolare
Vide un lago, ed era il mar!
Sospettollo… e impensierito
Saviamente si fermò.
Poi chinossi, e con un dito
A buon conto l’assaggiò.
Come fu sul bastimento,
Ben gli venne il mal di mar
Ma l’Anselmo in un momento
Mise fuori il desinar.
La città di Costantino
nello scorgerlo tremò
brandir volle il bicchierino
ma il Corano lo vietò.
Il Sultano in tal frangente
Mandò il palo ad aguzzar,
Ma l’Anselmo previdente
Fin le brache avea d’acciar.
Pipe, sciabole, tappeti,
Mezze lune, jatagan
Odalische, minareti
Già imballati avea il Sultan.
Quando presso ai Salamini
Sete ria incominciò
E l’Anselmo coi più fini
Prese l’elmo, e a bere andò.
Ma nell’elmo, il crederete?
C’era in fondo un forellin
E in tre dì morì di sete
Senza accorgersi il tapin
Passa un giorno, passa l’altro
Mai non torna il guerrier
Perché egli era molto scaltro
Andò in guerra col cimier.
Col cimiero sulla testa,
Ma sul fondo non guardò
E così gli avvenne questa
Che mai più non ritornò.