I prossimi comuni che decideranno di “fondersi” in un unico comune, mi auguro possano essere Cellamonte, Cereseto, Frassinello, Olivola, Ottiglio, Ozzano, Rosignano, Sala, San Giorgio, Terruggia, Treville, (indicati in ordine alfabetico), che darebbero corpo a un ente locale territorialmente omogeneo con circa 8000 abitanti con una superficie di quasi 103 Kmq, diverrebbe il più grande comune della provincia di Alessandria per estensione territoriale (escludendo il capoluogo, che è una città) e l’ottavo comune della provincia di Alessandria a livello demografico, che si assicurerebbe un ingente finanziamento per i prossimi anni e la razionalizzazione dei servizi pubblici.
Forse prima gli amministratori locali dovrebbero sottoporsi a un “bagno di umiltà” e assicurarsi il ridimensionamento del proprio Ego. Contemporaneamente la popolazione dovrebbe convincersi che la fusione conviene a tutti e non si perde affatto la propria identità storico culturale localistica, semmai ci si assicura che in futuro si possa ancora esistere e quindi preservare tali valori, considerando che tutti i comuni collinari e montani inesorabilmente sono destinati a perdere abitanti a causa dell’età media molto elevata dei suoi abitanti.
In provincia di Alessandria abbiamo addirittura tre comuni ben al di sotto dei 100 abitanti ed altri tre che si stanno avvicinando a tale condizione, nonostante tutto si arroccano su posizioni autonomiste anacronistiche e autolesionistiche che possono durare fintanto che ci saranno dei volontari che, oltre a lavorare gratis per la comunità, si sobbarcheranno gli oneri di alcuni servizi pubblici che gli enti gerarchicamente superiori non potranno più erogare. Oppure finché i consorzi rurali e locali tra cittadini residenti (soprattutto sull’Appennino) funzioneranno, ma anche in questo caso gli oneri sono a carico dei residenti aderenti al consorzio, e man mano che essi diminuiscono, saranno destinati a non funzionare più adeguatamente. Quindi non ci sono alternative alla fusione, le varie Unioni non sono sufficienti, soprattutto a causa dei tagli progressivi dei finanziamenti pubblici ed alla riduzione delle entrate fiscali che costringono sempre più i comuni a indebitarsi. Quei pochi finanziamenti extra che pervengono sono prevalentemente attribuibili alla loro capacità progettuale, vincolati al progetto elaborato e approvato. Ma anche in questo caso le possibilità che il progetto sia approvato è proporzionale al numero di comuni che vi partecipano, con una partnership estesa e coesa.
In conclusione, arroccarsi in posizioni difensive e ostative non è “localismo”, cioè difesa dei sacrosanti valori culturali e sociali identitari locali, ma è “campanilismo” anacronistico e autolesionistico e soprattutto ben poco lungimirante e pragmatico, che condannerà all’oblio, all’impossibilità di sopravvivere dignitosamente, che porterà col tempo anche alla scomparsa di quei valori localistici che si sta strenuamente cercando di conservare intatti.
Una profonda riflessione su questi argomenti è ormai divenuta un obbligo morale per ogni amministratore che abbia veramente a cuore la sua comunità, e su questi temi essenziali e prioritari dovrebbero essere organizzati incontri tra i sindaci e dovrebbero mobilitarsi le comunità locali, perché il processo decisionale e attuativo è lento, ed è meglio non indugiare.