Marchesato di Monferrato, una storia medievale gloriosa

Nessuno sa quali siano esattamente le origini storiche del Monferrato, inteso come luogo e data di formazione, come ho avuto modo di riportare numerose volte nei miei articoli precedenti, scritti anche con l’intento di sfatare i miti e i simbolismi che venivano e vengono tuttora assunti arbitrariamente per avallare iniziative turistiche e pseudoculturali locali, presentandole come se avessero un fondamento storicamente attendibile, per cui le varie ricorrenze e celebrazioni che avvengono e che ne attribuiscono le origini in diverse date dell’Alto Medioevo (476-1000 d.C.), sono da considerarsi puramente fittizie.

Il primo documento storico che cita il Marchesato di Monferrato risale all’anno 1111 d.C. e fa riferimento al marchese Ranieri, Raynerius del Monteferrato Marchio (in un atto del marchese di Biandrate redatto il 23 marzo 1111), che governò a lungo il marchesato nella prima metà del XII secolo.

Invece sappiamo per certo quali siano stati i due periodi di massima espansione del marchesato di Monferrato, che lo resero una potenza regionale che non temeva rivali durante il Medioevo, soprattutto in considerazione della notevole frammentazione in signorie e liberi comuni che caratterizzavano la penisola nel Pieno Medioevo (1000-1300 d.C.) e Tardo Medioevo (1300-1492 d.C.).

Il primo di questi periodi è da attribuire ai meriti di condottiero e stratega del marchese Guglielmo VII detto il Grande (discendente aleramico che governò il marchesato dal 1253 al 1292 d.C.).

I cronisti dell’epoca (che oggi chiameremmo storici, anche se non sempre attendibili), soprattutto quelli al servizio degli avversari di Guglielmo VII, riportano che il marchese di Monferrato era in grado di mettere insieme un esercito di circa 35mila armigeri e un migliaio di cavalieri, che all’epoca dovevano per forza essere nobili (anche se spesso di basso lignaggio) per potersi permettere le spese elevate che comportava un tale rango, per l’acquisto del cavallo, armature, armi, scudiero e servitori al seguito.

 

Con una tale forza d’urto non era neppure necessario combattere in ogni circostanza, pur possedendo doti ineguagliabili di condottiero e stratega, bastava presentarsi al cospetto delle città per assoggettarle. Riuscì infatti a espandere i confini in quasi tutta l’allora “Lombardia” (che corrisponderebbe all’attuale Italia del Nord Ovest), divenendo signore di molte città e relativi territori, quali Alessandria, Asti, Vercelli, Novara, Torino, Genova, Brescia, Cremona, Lodi, Milano, Pavia, ecc..

Per avere un termine di paragone, che renda bene l’idea di quale forza militare e potenza politico-diplomatica disponesse il nostro marchese, è utile sapere che il re di Francia all’epoca possedeva sotto la sua giurisdizione solo l’Île-de-France (Isola di Francia) la piccola regione attorno alla capitale del suo regno, che era un regno più sulla carta che nella realtà oggettiva, essendo i suoi vassalli molto più potenti di lui, i quali governavano in totale autonomia i loro ducati, contee e signorie e gli rendevano omaggio solo simbolicamente. Come ad esempio il signore di Coucy che per ricchezza, esercito e possedimenti era molto più potente del re di Francia. Infatti nel XIII secolo Enguerrand III di Coucy fece erigere un castello talmente possente e con un “dongione” (in italiano definito “maschio o mastio”) così grande che poteva contenere 500 soldati con tutti gli approvvigionamenti per resistere ad un ultimo assedio, era ritenuta la fortificazione più grande e invidiata di Francia, che faceva ombra e ledeva il prestigio del re e di tutti gli altri suoi grandi vassalli. Inoltre all’epoca la Francia, intesa come estensione territoriale, era prevalentemente governata dagli inglesi tramite vassalli locali (perlopiù duchi) subordinati al re d’Inghilterra, che in caso di guerra si schieravano come suoi alleati.

Quindi Guglielmo VII il Grande era a tutti gli effetti potente come e più di un sovrano. Un personaggio di tale grandezza e capacità non poteva essere eliminato se non ricorrendo al tradimento, e furono gli alessandrini, nemici secolari del Monferrato, ad assumere questa responsabilità storica. Lo fecero entrare in città per negoziare e rassicurarlo delle loro intenzioni non ostili, fidandosi entrò in città con una modesta scorta, e gli alessandrini poterono quindi imprigionarlo senza difficoltà, facendolo morire lentamente di stenti, patimenti e mortificazioni nel febbraio 1292, dopo 16 mesi di vergognosa prigionia e agonia, dopo averlo rinchiuso in una gabbia di ferro. Una fine indegna per un personaggio di tale statura, che minò anche il futuro del marchesato di Monferrato e gettò discredito sugli alessandrini alimentando l’ostilità dei monferrini e casalesi, che si protrarrà nei secoli fino ai giorni nostri.

Il marchesato di Monferrato, per riprendere una posizione dominante nell’ambito della “Lombardia”, dovette attendere il marchese Teodoro II (discendente dei Paleologo di Monferrato, che a loro volta discendevano dalla famiglia imperiale bizantina), che governò il marchesato dal 1381 al 1418 e riuscì a espandere i suoi confini pressappoco come fece il suo predecessore Guglielmo VII, anche se, dal punto di vista storiografico, si ritiene essere questo il periodo di massima espansione del Marchesato di Monferrato, perché i Paleologo, essendo di origine imperiale bizantina, disponevano di maggior cultura politico-amministrativa, a differenza degli aleramici che erano di origini molto più umili, seppero pertanto fornire al marchesato una struttura di governo più efficace, organizzata e accentrata, scegliendo la città di Casale come sede stabile della corte e dell’amministrazione (composta da circa 400 persone), rendendola di fatto la capitale del marchesato a partire dal 1435.

Teodoro II riuscì in tale impresa espansionistica sfruttando abilmente la strategia militare, l’abilità del Capitano di Ventura casalese Facino Cane che era al suo servizio, e l’arma dei balestrieri che Teodoro potenziò creando un corpo di élite al suo servizio, ispirandosi ai famosi balestrieri di Genova (che divennero famosi mercenari al servizio delle potenze europee), città della quale divenne signore e capitano dal 1409 al 1413.

In quei pochi anni di governo seppe distinguersi per lungimiranza e saggezza e fu molto apprezzato dai genovesi, rilanciando i commerci e la loro proiezione navale e commerciale in tutto il Mediterraneo, potenziando le Maona genovesi, antesignane delle future Compagnie Commerciali (come quelle delle Indie che si crearono dal ‘600 in avanti e diedero vita agli imperi coloniali), e limitando l’ingerenza commerciale antagonista degli inglesi che in competizione con Genova e Venezia cercavano di penetrare nel Mediterraneo.

Teodoro II abbandonò il governo di Genova esclusivamente per motivi di opportunità, avendo ricevuto un’enorme somma di denaro dagli Adorno, una delle più potenti famiglie genovesi dell’epoca, pari agli Spinola e ai Doria, che desideravano riprendere il potere sulla città marinara. Se Teodoro II non avesse accettato tale offerta di denaro, probabilmente la storia del marchesato di Monferrato avrebbe preso una piega completamente diversa, divenendo una potenza marinara, e avrebbe potuto convivere a lungo in piena autonomia limitando le mire espansionistiche francesi (Angioni), dei Savoia, dei milanesi e dei veneziani. Ma con queste considerazioni entreremmo nell’ucronia, e preferisco fermarmi.

Sappiamo tutti la fine ingloriosa del marchesato di Monferrato dal momento in cui estintasi la dinastia dei Paleologo, subentrarono nel 1536 i Gonzaga di Mantova, per i quali il Monferrato era solo un possedimento distaccato da gestire pressappoco come una colonia, e la situazione peggiorò ancor più quando subentrò il debosciato ramo francese dei Gonzaga Nevers nel 1631.

Nonostante l’elevazione del Monferrato al rango di Ducato all’inizio dell’ultimo quarto del XVI secolo, seguì un’inesorabile parabola discendente fino all’incorporazione negli stati dei Savoia (fin dal 1706 quando le truppe savoiarde avevano ormai invaso tutto il Monferrato), situazione poi sancita formalmente con il Trattato di Utrecht del 1713, cui seguì l’assegnazione ai Savoia dapprima del Regno di Sicilia e poi la costituzione del Regno di Sardegna nel 1720.

L’artefice dell’incorporazione del Monferrato fu il duca Vittorio Amedeo II di Savoia, che divenne il primo re di Sardegna, il quale oltre al titolo di Principe di Piemonte in seconda posizione come rango continuò a portare il titolo di duca di Monferrato, nella lunga elencazione dei titoli cui aveva diritto.

Purtroppo con tristezza devo riconoscere che di questa gloriosa e illustre storia locale ben poche tracce mnestiche e culturali permangono nella nostra popolazione, ancor meno in coloro che ci rappresentano politicamente, la qual cosa è da considerarsi certamente un’aggravante. Rammento che diversi anni fa, quando ancora interagivo con qualche politico locale, rilevavo la grave ignoranza storica del nostro passato, non essendo costoro spesso neppure in grado di elencare le quattro dinastie che hanno governato il Monferrato e i principali periodi ed eventi storici che hanno plasmato il nostro passato e condizionato di conseguenza anche il nostro futuro, perché occorre comprendere che tutto è connesso e correlato, e non si può pretendere d’interpretare il presente e prevedere il futuro se non si conosce il passato.

 

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