PARLAMI D’AMORE MARIU’ – Storie d’amore e di guerra e di speranza –

È in preparazione presso l’editore una mia raccolta di racconti di cui pubblico la copertina e la presentazione

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PARLAMI D’AMORE MARIU’ – Storie d’amore e di guerra e di speranza –

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Questa raccolta racconta nella prima parte la nostra storia, dalle guerre di Indipendenza a quella di Liberazione, senza indulgere nell’esaltazione di imprese, ma è la narrazione della storia di uomini, donne e delle loro famiglie stravolte dalla guerra.

Ho cercato di dare voce, intingendo la penna in quel vecchio, sbirolato, malandato, ma immenso calamaio che è il cuore., al valore eterno dell’UOMO (e per uomo intendo l’essere umano) quello che “move il sole e l’altre stelle”.

A San Martino della battaglia (seconda guerra di indipendenza 24 giugno 1859, laddove Vittorio Emanuele II avrebbe spronato la sua Brigata Savoia al grido “Forsa Fioi! O piumma San Martin, o fumma San Martin…!”) all’ingresso della chiesa ossario, c’è una lapide fatta murare da una donna, una moglie, di ventidue anni. Si rivolge al marito, un giovane sottotenente morto in quella carneficina:

“Ti ho aspettato e non sei tornato: Ora aspettami tu.”

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La vita di una comunità è soprattutto la vita degli uomini che l’hanno generata.

Viviamo il presente che è frutto di una lunga staffetta dove ognuno ha portato e trasmesso il suo testimone e la memoria è la linfa che genera la speranza. La memoria è la consapevolezza di quello che siamo; un uomo, una società, un popolo senza memoria non ha avvenire; senza memoria, senza consapevolezza della propria identità, è la fine, la dissoluzione.

Perché la vera morte non è la scomparsa fisica, ma l’oblio.

Ecco il perché di questo libro.

Che non celebra la guerra – la guerra è una maledizione, la negazione della dignità dell’uomo – ma afferma i Valori per cui, spesso inconsapevolmente e non di rado forzatamente, tante vite caddero.

Esclude qualsiasi valutazione gerarchica e di schieramento; non c’è rimembranza di serie A o di serie B; nessuno è “più meglio” di un altro, nessun episodio ha preminenza aspetto ad un altro; (e questo anche per i “corpi”, le “armi” o le “formazioni volontarie”).

Perché, se è ammirevole il sacrificio di chi impegnò e diede la vita per un ideale che lo tormentava, lo esaltava e quindi lo gratificava, almeno pari ammirazione e considerazione va a chi questo sacrificio lo compì senza intuirne o senza condividerne le motivazioni.

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Tutta la Storia, anche quella con la esse maiuscola, è fatta dai singoli uomini.

Cosa sarebbe successo se sul Rubicone, invece di Cesare; ci fosse stato un qualsiasi sor Pampurio? Forse sarebbe ancora oggi con i piedi a mollo…

Cosa sarebbe stata dell’unità d’Italia senza Cavour (che ne è – con il suo pragmatismo geniale – il vero artefice)?

Ma le loro visioni i loro sogni, i loro progetti, le loro attese, sarebbero stati vani senza il concorso, senza il sacrificio, spesso forzato, di tante singole vicende di persone “normali”, umili (“Umile è persona – scrive Dante – che nossia adirosa, né paurosa, né sciocca, né vana…”).

E noi, nelle narrazioni che accompagnano i grandi avvenimenti, dalle guerre di indipendenza a quelle coloniali, alle guerre mondiali e a quella di Liberazione, proprio alle vicende degli umili abbiamo voluto dare spazio.

I “Grandi”, si fa per dire, sono ricordati nei libri di storia e, quando se ne vanno, normalmente nel loro letto, hanno il conforto dell’affetto dei loro cari e delle celebrazioni ufficiali.

Gli umili, i soldati, muoiono in trincee lontane, soli, abbandonati, ignorati come foglie morte spazzate via dal vento dell’autunno.

Ma sono queste foglie che, rigenerando la terra, fanno germogliate la nuova vita e preparano la rinascita e il trionfo della primavera.

Senza queste foglie – senza i Duardin Fiz, i Bigin Accornero, i Pedrot Provera, i Pierin e le Madlenne Lupano , i Filippo, i Barco, i Din Din, I Garis e tanti altri come loro, non ci sarebbero libri di storia e grandi uomini…

Non ci saremmo nemmeno noi.

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Il libro è diviso in due parti: la prima, quella della guerra, intitolata AMORE MIO NON PIANGERE

Chiude il libro i cui protagonisti sono i nostri “umili”concittadini monferrini (di Casale, Mirabello, Montemagno, Pontestura, ecc.), la seconda parte sul dopoguerra intitolata IL TEMPO DELLA SPERANZA , con il ritorno delle giostre, un pellegrinaggio di padre e figlio a Crea sulle note di Parlami d’amore Mariù, De Gasperi, Coppi, Bartali, il grande Torino, una favolosa serata danzante sotto la luce delle stelle piena di nostalgia e speranza e l’ultima imponente manifestazione religiosa popolare del secolo: la Madonna Pellegrina che attraversò la città ed i paesi delle diocesi per celebrare, con il cuore rivolto alla Bruna Madonna, la fine della guerra e il ritorno alla vita…

Ma il “succo” delle due parti è l’AMORE

I progetti dei leader politici e le imprese sportive del Torino, di Bartali, di Coppi (a cui andrebbe aggiunto anche Consolini e Tosi trionfatori nel lancio del disco alle olimpiadi del 1948) ridiedero la consapevolezza e la dignità ad un popolo che, se era stato sconfitto dalle armi, non era stato vinto.

E che ricominciava a scrutare ed a costruire, gonfio di speranza, il futuro.

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Lo stupendo quadro di copertina, un racconto della vita che generava il nostro grande fiume PO (qui è a PONTESTURA, ma era una realtà ovunque) è di RENATO PUGNO.

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