Pericle, discorso per i caduti

La impensabile e quanto mai brutale aggressione della Russia nei confronti della Ucraina ha sorpreso e sconvolto pressoché tutto il Mondo: al più si sono viste forme di certa neutralità ma quasi sempre con una condanna della parte aggredente.

Nihil novi sub sole, niente di nuovo sotto il sole si può ben dire: tale aspetti di un passato non ancora lontano, sono sconvolgenti. Ed alla mente sovviene subito la profonda differenza fra Democrazie e Dittature (oggi per lo più si dice forse meglio autocrazie anti democratiche: così la Russia).

Una delle migliori descrizioni della Democrazia in ogni tempo (certo con le emerse variazioni nei secoli) è probabilmente quella che di Atene ne dà Pericle, il grande Politico (e non solo) di Atene, nella “Guerra del Peloponneso “narrata da Tucidide.

Atene Democrazia, potere (governo) del Popolo, cioè dei cittadini; dal greco demo (popolo), kratos (potere). In Atene nella Grecia antica il potere era affidato al popolo, ai cittadini. La evoluzione verso una forma di democrazia avvenne in modo progressivo, raggiungendo già prima di Pericle un grado elevato. Pericle ampliò la visione democratica e, ad esempio, stabilì l’introduzione di un compenso per la partecipazione alle sedute della Assemblea e dei tribunali, agevolando quindi notevolmente la possibilità delle classi meno abbienti di potervi accedere. In Atene, la filosofia, l’architettura, il teatro, ogni genere di arte, forme di letteratura: una pluralità di personaggi notissimi ed eccelsi tramandati dalla storia.

I primi due grandi scrittori, in ogni parte del Mondo, delle vicende belliche di quei tempi e tempi anteriori, sono stati Erodoto e Tucidide.

Erodoto di Alicarnasso (città greca dell’Asia Minore) ateniese di adozione scrisse “Le Storie” incentrate sul contrasto bellico e altro fra Grecia e Impero Persiano.

Tucidide di Atene, a seguire di pochi anni, narrò “La Guerra del Peloponneso” fra Atene e Sparta. Due storici, Tucidide vero storico in modo più accentuato.

 

Sparta Oligarchia governo (comando) di pochi dal greco oligarkia comando di pochi. Solo una minoranza godeva dei i diritti politici. In Sparta vigeva una stretta educazione militare sui giovani, e scoraggiava ogni tipo di cultura. Due re con il compito principale di comandare l’esercito. Non una dittatura, ma appunto una Oligarchia.

A guerra iniziata, si contarono subito i primi morti. Secondo le usanze patrie in occasione dei caduti in guerra, gli Ateniesi sceglievano un uomo che avesse doti di intelletto e fosse stimato dai cittadini, per la pronuncia del discorso di lode che conveniva e gli Ateniesi scelsero Pericle di Santippo: così disse Tucidide.

Riporto buona parte del lunghissimo discorso punteggiando dove ho omesso alcune parti; lo stralcio di dette parti si è reso appunto necessario: di alcuni frasi ho indicato solo alcune parole di per sé poco comprensibili, ma comunque la lettura attenta e non affrettata ammalierà per la sua grandezza. La numerazione in nero grassetto indica il paragrafo di cui il brano a seguire fa parte.

Merita di essere letto? Sì, merita di essere letto con le riflessioni che ciascuno vorrà fare: siamo nel V secolo a.C.

 

PERICLE II libro. Discorso per i primi caduti

 

35 – “La maggioranza di coloro che già prima di me hanno tenuto un discorso da questa tribuna…

36 – “Ma per prima cosa comincerò dagli antenati:… aggiunsero quell’impero che ora è nostro… l’ampliamento dell’impero è opera nostra… Ma in virtù di quali principi noi siamo giunti a questo impero, e con quale costituzione, con qual modo di vivere tale impero si è ingrandito, questo mi accingo a fare per prima cosa, e quindi a lodare costoro…

37 – “Abbiano una costituzione che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d’esempio ad altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia: di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta un piano di parità, mentre per quanto riguarda la considerazione pubblica nell’amministrazione dello stato, ciascuno è preferito a seconda del suo emergere in un determinato campo, non per la provenienza di una classe sociale ma più che per quello che vale. E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall’oscurità del suo rango sociale. Liberamente noi viviamo nei rapporti con la comunità, e in tutto quanto riguarda il sospetto che sorge dai rapporti reciproci nelle abitudini giornaliere, senza adirarci col vicino se fa qualcosa secondo il suo piacere e senza infliggerci a vicenda molestie che, sì, non sono dannose, ma pure sono spiacevoli ai nostri occhi. Senza danneggiarci reciprocamente i rapporti privati e nella vita pubblica la reverenza soprattutto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle poste a tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta.

38 – “E abbiamo dato al nostro spirito moltissimo sollievo dalle fatiche, istituendo abitualmente giochi e feste per tutto l’anno, e avendo belle suppellettili nelle nostre case private, dalle quali giornalmente deriva il diletto con cui scacciamo il dolore. E per la sua grandezza, alla città giunge ogni genere di prodotti da ogni terra, e avviene che noi godiamo dei beni degli altri uomini con non minor piacere che dei beni di qui.

39 – “Ma anche nelle esercitazioni della guerra noi differiamo dai nemici per i seguenti motivi. Offriamo la nostra città in comune a tutti, né avviene che qualche volta con la cacciata degli stranieri noi impediamo a qualcuno di imparare o di vedere qualcosa (mentre un nemico che potesse vedere una certa cosa, quando non fosse nascosta, ne trarrebbe un vantaggio). Ché la nostra fiducia è posta più nell’audacia che mostriamo verso l’azione (audacia che deriva da noi stessi), che nei preparativi di difesa e negli inganni. E nell’educazione, gli altri subito fin da fanciulli cercano con fatiche ed esercizi di raggiungere un carattere virile, mentre noi, pur vivendo con larghezza, non per questo ci rifiutiamo di affrontare pericoli equivalenti… Se si scontrano con una piccola parte di noi e la vincono, si gloriano di averci respinti tutti, mentre se sono vinti si vantano di esserlo stati da tutti noi…

40 – “Amiamo il bello, ma con semplicità, e ci dedichiamo al sapere, ma senza debolezza; adoperiamo la ricchezza più per la possibilità di agire, che essa offre, che per sciocco vanto di discorsi, e la povertà non è vergognosa ad ammettersi per nessuno, mentre lo è assai più il non darsi da fare per liberarsene. Riuniamo in noi la cura degli affari pubblici insieme a quella degli affari privati, e se anche ci dedichiamo ad altre attività, pure non manca in noi la conoscenza degli interessi pubblici. Siamo i soli, infatti, a considerare non già ozioso, ma inutile chi non se ne interessa, e noi Ateniesi giudichiamo o, almeno, ponderiamo convenientemente le varie questioni, senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire, ma che lo sia piuttosto il non essere informati dalle discussioni prima di entrare in azione. E di certo noi possediamo anche questa qualità in modo differente dagli altri, cioè noi siamo i medesimi e nell’osare e nel ponderare al massimo grado quello che ci accingiamo a fare, mentre negli altri l’ignoranza produce audacia e il calcolo incertezza… E anche per quanto riguarda la nobiltà d’animo, noi ci comportiamo in modo opposto a quello della maggioranza: ci procuriamo gli amici non già col ricevere i benefici ma col farli. Chi ha fatto il favore è un amico più sicuro, in quanto è disposto con una continua benevolenza verso chi lo riceve a tener vivo in lui il sentimento di gratitudine, mentre chi è debitore è meno pronto, sapendo che restituisce una nobile azione non per fare un piacere ma per pagare un debito. E siamo i soli a beneficiare qualcuno senza timore, non tanto per aver calcolato l’utilità del beneficio ma per la fiducia che abbiamo negli uomini liberi.

41 – “Concludendo, affermo che tutta la città è la scuola della Grecia… lo indica la stessa potenza della città, potenza che ci siamo procurata grazie a questo modo di vivere. Sola tra le città di adesso, infatti, essa affronta la prova in modo superiore alla sua fama… Noi spieghiamo a tutti la nostra potenza con importanti testimonianze e molte prove, e saremo ammirati dagli uomini di ora e dai posteri senza bisogno delle lodi di un Omero o di un altro… per aver costretto tutto il mare e la terra a divenire accessibili alla nostra audacia, stabilendo ovunque monumenti eterni delle nostre imprese fortunate o sfortunate. Per una tale città combattendo, costoro, che nobilmente pretesero di non esserne privati, sono morti, e ognuno dei sopravvissuti è giusto che sia disposto ad affrontare sofferenze per lei.

42 – “Per questo mi sono dilungato… Nessuno di costoro si mostrò debole per aver preferito il godimento futuro delle proprie ricchezze, né rimandò il pericolo cedendo alla speranza che la povertà porta con sé… ma considerando la vendetta sui nemici più desiderabile di questi vantaggi, e pensando che questo era il più bello dei pericoli, vollero, accettando il rischio, punire i nemici… E, una volta che si trovarono in tale situazione, preferendo difendersi e soffrire piuttosto che salvarsi cedendo, evitarono la vergogna di una parola di rimprovero, affrontarono il loro compito a prezzo della vita, in un brevissimo momento segnato dal destino, perirono nel colmo della gloria piuttosto che del timore.

43 – “Tali si mostrarono costoro, in modo degno della città… Offrendo la loro vita nell’interesse di tutti, ottennero per sé soli la lode che non invecchia e una tomba che è la più illustre, non là dove sono sepolti, ma là dove la loro fama rimane inobliabile, ogni volta che torni l’occasione di parlare o di agire. Giacché tomba di uomini illustri è tutta la terra…. E voi, prendendo come esempio costoro e considerando felicità la libertà e libertà il coraggio, non temiate i pericoli della guerra… Più dolorosa è infatti (almeno per chi ha senno) la sventura che sopravviene con viltà, che una morte non dolorosa accompagnata dal valore e dalla speranza comune.

44 – “Per questa ragione, più che compiangere, io consolo i genitori dei caduti, qui presenti. Sanno di essere vissuti tra avvenimenti di ogni genere… So bene che è difficile persuadervi… e il dolore non si prova quando si è privati di quei beni che non si è mai goduto, ma quando ti son tolti quelli ai quali ti eri abituato… giovinezza…  felicità… forza… e pensate che la vita che resta sarà breve, e rallegratevi della gloria che vi deriva da questi morti. Giacché solo l’amore della gloria non invecchia, e il piacere non è, come si sostiene, nel guadagnare quando per l’età si è divenuti inutili, ma nell’essere onorati.

45 – “… Gli uomini hanno invidia di chi è loro concorrente, mentre chi non taglia la strada è ricompensato con una benevolenza non turbata dall’emulazione. Se poi debbo accennare anche alla virtù delle donne che ora saranno vedove, indicherò tutto con una breve esortazione. Il non essere più deboli di quanto comporta la vostra natura sarà un grande vanto per voi, e sarà una gloria se di voi si parlerà pochissimo tra gli uomini, in lode o in biasimo.

46 – “Anch’io, secondo la consuetudine, ho finito di parlare di quegli argomenti che ritenevo utili e, passando ai fatti, gli onori per la sepoltura sono già pronti, e d’ora in poi a spese pubbliche la città alleverà fino alla giovinezza i figli dei caduti…. Ora, dopo aver pianto a sufficienza ciascuno il vostro congiunto, tornate alle vostre case”.

 

BUR Rizzoli Libri – Mondadori Libri –  Classici greci e latini                               Traduzione a cura di Franco Ferrari

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