Scrivo per portare un contributo di riflessione sulla preannunciata unificazione tra l’ASO di Alessandria e l’ASL provinciale AL; tema su cui si è parlato poco, sovrastato da altri accadimenti (taluni ormai ricorrenti e ripetitivi, quanto pressoché ininfluenti sullo sviluppo e rilancio della comunità).
Recentemente su proposta del consigliere regionale Domenico Ravetti, presidente della commissione regionale sanità, è stato approvato dal Consiglio regionale un atto di indirizzo firmato da tutti i capigruppo di maggioranza e dal M5S, in cui si chiede alla giunta di presentare una proposta di deliberazione che vada nella direzione di accorpare la ASL e la ASO di Alessandria.
Le motivazioni, da dichiarazioni di stampa, sono essenzialmente riconducibili alle seguenti circostanze: debole cooperazione tra i due enti, deficitari risultati economici nel primo semestre 2017 (deficit/perdita ASO euro 6,4 milioni – ASL euro 11,4 milioni), forte mobilità passiva, i cittadini della provincia vanno curarsi altrove.
Poiché ho lavorato quasi una trentina di anni nella sanità pubblica ed ho iniziato la mia carriera proprio all’ospedale di Casale, vorrei ripercorrerne brevemente la storia.
Negli anni 70, dopo aver lavorato alcuni anni presso l’allora “ente ospedaliero provinciale” di Casale Monferrato (vigente allora la legge Mariotti di riforma degli ospedali), vinsi un concorso pubblico da dirigente e presi servizio all’Ospedale Molinette di Torino (Ospedale di San Giovanni Battista e della Città di Torino, ora Città della Salute e della Scienza).
Ho sempre tenuto rapporti e stretti legami con la comunità casalese e con la dirigenza dell’Ospedale di Casale e successiva USL 76; mi inorgogliva, come casalese, sentire negli ambienti della sanità regionale che all’Ospedale di Casale, ad esempio era stata inaugurata una moderna unità coronarica e successivamente una rianimazione, che era giudicata, tecnologicamente, tra le migliori del Piemonte.
Poi lentamente è scesa la nebbia, il grigiore, il buio, che è proseguito con l’istituzione delle aziende sanitarie.
Per la verità, durante la legge Mariotti, c’è stata una rincorsa dei piccoli/medi presidi ospedalieri nell’istituire nuovi servizi e reparti, a volte con doppioni in ospedali vicini (dovuto al fatto che l’istituto regionale stava per costituirsi e non poteva regolamentare questi aspetti, come oggi è in grado di fare), sono seguite poi le USL (riforma sanitaria n. 833 del 1978 della “Tina Anselmi”), inizialmente in numero eccessivo; tutti fattori che hanno contribuito a dilatare la spesa sanitaria.
Con la successiva legge regionale di aziendalizzazione della sanità, la provincia di Alessandria aveva, al pari di altre province, i numeri di residente per dotarsi di due aziende sanitarie (una avrebbe potuto essere Casale), ma si decise di farne una sola: la ASL AL e a Casale venne data la “targa” per la sede (recentemente portata giustamente ad Alessandria); in altre province, vedi Cuneo, invece si poterono realizzare due aziende sanitarie : ASL CN1 e CN2, oltre all’azienda ospedaliera.
Ora siamo l’unica realtà del Piemonte che accorpa, in una sola entità giuridica, l’azienda ospedaliera con l’azienda sanitaria.
Siamo sicuri che questa sia la giusta soluzione?
Si risparmierà senz’altro sugli emolumenti di una direzione in meno oltre al collegio sindacale, ma quale miglior servizio verrà fornito ai cittadini?
La regione ha fatto un piano di razionalizzazione che espone i vantaggi dell’unificazione tra le due entità?
E in caso affermativo la comunità lo può conoscere?
Mi chiedo solo, perché questa imposizione venga dall’alto e non siano stati coinvolti le istituzioni territoriali, i sindaci dei comuni della Provincia, per sapere il loro parere, per fornire loro le doverose notizie, le indicazioni, i dati, insomma le motivazioni che hanno indotto la regione a prender questa decisione. Tutto viene preso sulla testa della comunità.
C’è una grave carenza di informazione ai cittadini sulla salute pubblica, questo a mio giudizio è l’aspetto più grave e stigmatizzabile, di questa vicenda.
Se si ridimensionano, trasferiscono, accorpano, in taluni casi smantellano, strutture e servizi, e, ad esempio nel caso dell’ospedale di Casale, se un cittadino casalese ha bisogno dell’urologo, prima di recarsi a Novi Ligure (distante circa oltre 60 km) magari preferisce andare, fuori provincia, a Vercelli (20 km) o Asti (40 km) o perché no, nei centri universitari di Novara o Pavia, allora non dobbiamo stupirci dell’aumento della mobilità in uscita se peggiora.
A onore del vero anche il legislatore nazionale può avere le sue colpe; in Italia nella sanità pubblica si investe di meno rispetto agli altri paesi industrializzati.
Il rapporto OASI 2017, della SDA Bocconi sulla Sanità Pubblica, afferma che nel 2015, la spesa sanitaria totale in Italia corrisponde al 9% del PIL contro ad esempio l’11,1% della Francia, l’11,2% della Germania, addirittura il 16,9% degli USA.
Nella terza giornata del 12° Forum Risk management, tenutosi a Firenze, la settimana scorsa, il pof. Gabriele Pellissero (illustre casalese), presidente AIOP, ordinario all’Università di Pavia, nonché manager del gruppo san Donato e del San Raffaele, ha avuto modo di affermare – tra l’altro – che “stiamo andando verso il 6,5% del PIL per spesa pubblica sanitaria, indicato come punto di rottura dell’OMS nei sistemi sanitari universalistici”
Voglio tornare comunque al problema di fondo e chiedo se è possibile informare la comunità circa il programma di razionalizzazione (sempreché esista) che sta inducendo la Regione ad unificare l’azienda ospedaliera con l’azienda sanitaria AL.
Rivendichiamo, quali cittadini, la doverosa informazione, in tema di salute pubblica, da parte dell’istituzione regionale verso i sindaci e le amministrazioni comunali che, in tutti i modi, ci rappresentano.