Papa Francesco, in occasione della giornata missionaria del 2021 ha pronunciato queste parole: “La situazione della pandemia ha evidenziato e amplificato il dolore, la solitudine, la povertà e le ingiustizie di cui già tanti soffrivano e ha smascherato le nostre false sicurezze e le frammentazioni e polarizzazioni che silenziosamente ci lacerano”.
La crisi pandemica e il dramma della guerra in Ucraina, combinate con la crisi climatica, quella energetica, quella del grano e altri effetti collaterali, hanno scatenato una tempesta perfetta che sta devastando non solo l’economia nazionale e mondiale, ma anche minacciando la tenuta sociale di molti paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo. Una tempesta perfetta che rischia di generare in modo imprevedibile povertà, fame e disordine.
La dimensione della crisi è tale che la reazione dei paesi più influenti che governano il mondo dovrebbe suggerire una ferma e decisa cooperazione globale per individuare soluzioni che possano evitare il peggio. Purtroppo lo sterile dibattito in corso, cui assistiamo attraverso i media, non sembra mostrare la giusta consapevolezza del rischio globale che si profila all’orizzonte. Il disagio esistenziale di larghe fasce della popolazione sembra indurre, nell’ambito delle nazioni e dei cittadini più abbienti, profili di egoismo cinico se non, addirittura, atteggiamenti di profondo individualismo che impediscono forme di solidarietà efficaci.
È certo che il passaggio di questa tempesta non lascerà il mondo come prima. Le cicatrici prodotte non si rimargineranno come ferite normali, ma lasceranno un segno profondo che indurrà le istituzioni e la coscienza collettiva a prendere decisioni drastiche.
A tal riguardo, se prendiamo come esempio il dibattito in corso nel nostro paese, sia a livello politico nazionale e locale, sia a livello di collettività, a parte l’emozione iniziale suscitata dallo scoppio della guerra in Ucraina, resta incentrato su temi che sono sul tappeto da decenni, e mai affrontati con la volontà di risolverli. Pensiamo alle riforme importanti come quella fiscale, alla riforma sulla giustizia (che ha messo in moto un inutile e costoso referendum), ma anche a quelle meno importanti come quella dei lidi balneari e altre amenità di questa natura.
Nel dibattito pubblico si continua ad assistere a una classe politica sempre più ossessionata dal consenso elettorale e priva di lungimiranza nei confronti della crescita delle disuguaglianze che corrodono la coesione sociale. Per contro, una larga parte della collettività sempre più arroccata a difendere privilegi incompatibili con il tempo in cui viviamo. È urgente che classe politica e collettività ritornino al concetto di “polis”, ossia a un mutamento dello sguardo orientato al raggiungimento del “bene comune” nella sua accezione più alta. Occorre che politica e collettività imparino a vedere le cose con gli occhi degli altri.
Non c’è alcun dubbio che le sfide che abbiamo davanti richiedono intelligenza politica dei governanti e solidarietà della collettività. Condizioni che potrebbero rivelarsi anche un’opportunità per il cambiamento del mondo. In caso contrario, la povertà d’idee denuncerebbe soprattutto una carenza di etica nell’agire politico e una povertà morale di adoperarsi della collettività.