«Vivere per il bene dei deboli»: a cento anni dalla nascita un ritratto di Danilo Dolci, il “Gandhi italiano”

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Il primo compito assegnato al futuro procuratore di Torino, poco più che adolescente, fu lo studio di un paesino vicino a Roccamena. Interamente costruito nel 1960 era privo di abitanti per totale mancanza di acqua. Fu una sorta di “battesimo” di impegno sociale appena giunto dal Piemonte al Centro di Trappeto, nella Sicilia occidentale. Ad animarlo c’era il sociologo Danilo Dolci, denominato il “Gandhi italiano” per le sue lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo. Incarcerato per aver organizzato lo “sciopero al contrario” dei contadini riaprendo strade di campagna abbandonate dai latifondisti, Dolci fu difeso in aula da Piero Calamandrei mentre portava su di sé lo stigma del cardinale di Palermo Ernesto Ruffini: per l’alto prelato il gran parlare di mafia, il romanzo “Il Gattopardo”, e Danilo Dolci erano le tre cause che «maggiormente contribuivano a disonorare la Sicilia». Con poche, essenziali, pennellate, Raffaele Guariniello ci restituisce qui il ritratto inusuale e a tutto tondo di «un uomo che dietro la professionalità del sociologo con un sorriso, più di ogni altro pensiero, incoraggiava a dare tutto di sé»

Fonte: Italia libera – Giornale digitale di formazione e partecipazione attiva

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